La necessità di recuperare il tempo, già irrimediabilmente, perduto durante la campagna elettorale, impone al Partito Democratico di accelerare i tempi per la candidatura di Kamala Harris e, nello stesso tempo, di rendere inefficace qualsiasi tentativo interno, che possa scalzarla dal ruolo di candidato alla presidenza degli Stati Uniti. In pratica, si tratta di elaborare e stabilire procedure che possano garantire il ruolo della Harris come candidata alla Casa Bianca, in maniera di garantirne l’efficacia in modo sicuro e, soprattutto il prima possibile; questo perché il fattore tempo è ormai diventato determinante. Il comitato che sovrintende alle regole all’interno del Partito Democratico ha stabilito una tempistica per arrivare alla nomina della Harris a candidato alle presidenziali. Insieme alla calendarizzazione sono state stabilite tre regole, che dovranno favorire il processo della candidatura ufficiale. La prima regola rende praticamente impossibile contestare la posizione della Harris, la seconda determina l’anticipazione della nomina, in modo che la Convention diventi una investitura ufficiale, celebrata insieme ad una cerimonia in cui Biden sarà omaggiato da tutto il partito per il lavoro fatto, la terza dovrà consegnare libertà assoluta alla Harris circa la nomina del proprio candidato alla vicepresidenza. Per blindare la candidatura della Harris, sono stati anticipati i tempi per presentare la candidatura alla presidenza di tre giorni, cioè dal 30 al 27 luglio, in modo che alle 18, orario della capitale statunitense, ogni sfidante dovrà avere la propria candidatura formalizzata, a questo deve aggiungersi l’anticipo al 30 luglio per avere la firma di 300 delegati, con adesioni massime per ogni singolo stato di 50 delegati, necessari per la ratifica per proporre la propria candidatura. Dopo queste fasi sarà necessario il voto dei delegati sulla candidatura, che con la sola Harris come candidata sarà previsto per il primo agosto, viceversa in presenza di più candidati, il voto avverrà il 7 Agosto. Un tempo veramente ristretto che rende praticamente impossibile effettuare una campagna elettorale a qualsiasi candidato alternativo alla Harris. Queste modalità di candidatura dimostrano come il Partito Democratico intenda mostrarsi al corpo elettorale come unito e determinato a sostenere la Vicepresidente, ormai individuata come simbolo concreto della forza politica democratica ed alternativa a Trump. Anche la famiglia Obama, che non sembrava convinta di questa ipotesi, ha dimostrato il proprio sostegno alla Harris, arrivando così a suggellare la nomination per la candidatura. Questo risultato sembra più una necessità di cui fare virtù, dettata dai tempi stringenti, che una scelta ponderata e maturata in maniera consapevole dentro tempi giusti ed adeguati. Una impressione è che la Harris, nel caso di vittoria, potrebbe diventare presidente in maniera casuale, grazie ad una serie di circostanze particolarmente favorevoli e fortunate. Esistono dubbi consistenti, che un processo della candidatura fatto nei tempi adeguati e, soprattutto, con un dibattito interno al partito capace di rappresentare i diversi punti di vista, potesse determinare la candidatura della Harris, che non godeva di una popolarità adeguata a questo compito, anche per la scarsa rilevanza di come ha interpretato il ruolo di vicepresidente. In ogni caso per il Partito Democratico, proprio la posizione di vicepresidente in carica ha determinato la successione a Biden, almeno come candidata alla presidenza; questa scelta, che appare forzata, ora deve essere sostenuta in ogni caso, soprattutto come valore simbolico di alternativa alla minacciata autocrazia di Trump. Anche la Harris è meglio del candidato repubblicano, speriamo se ne convincano anche gli elettori.
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