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giovedì 26 luglio 2012

La fine del liberalismo e la necessità di una maggiore presenza dello stato

L'affermazione dell'ex Chief Excutive Operations di Citygroup Sandy Weill costituisce una pietra tombale sugli eccessi del liberismo, incarnato dall'eccessivo uso dello strumento finanziario. Weill dice espressamente che le banche di investimento devono essere separate funzionalmente dagli istituti che svolgono un ruolo puramente bancario. Dietro questo tecnicismo vi è l'ammissione del fallimento totale dell'evoluzione del sistema bancario degli ultimi venti anni. La conseguenza è la presa d'atto della profonda ingiustizia del metodo di scaricare sulla totalità dei contribuenti, creando costi sociali enormi, il costo economico del salvataggio di istituti bancari autori di investimenti totalmente sbagliati, ma troppo grossi per essere lasciati fallire. Ciò implica la profonda distorsione del cosidetto pensiero liberale, oramai definito liberista con una accezione tutt'altro che positiva. Ampliando il discorso non si può che constatare che è fallita l'idea stessa di capitalismo, dove con tale definizione si intendeva la diffusione maggiore possibile delle opportunità e della ricchezza, ottenuta con metodi etici e corretti. Se il liberalismo partiva dagli assunti della limitazione del potere statale ed il contenimento delle regole, i cosidetti lacci e lacciuoli, per favorire la libertà dell'impresa economica, non si può non notare, che proprio questa assenza di regolamentazione, fortemente voluta, tra gli altri, da campioni politici come Reagan e la signora Thatcher, è la causa principale dell'attuale dissesto economico.
La bizzarra politica creditizia delle banche, che ha favorito più di una delle cosiddette bolle, l'entrata sul mercato di strumenti e prodotti finanziari poco trasparenti, che hanno alterato l'effettivo valore delle industrie e del lavoro, la pesante commistione con parti consistenti di pezzi di politica profondamente corrotta, favorita dalla mancanza di legislazione, sono stati il terreno di coltura che ha permesso la più completa sovversione del comparto finanziario, che ha completamente alterato i suoi compiti originari, di strumento di sviluppo e crescita fino alla trasformazione in mostro economico, sempre più affamato di capitali da distruggere. L'avere assunto una sua fisionomia slegata dal mondo reale ha generato un comparto che da utile e funzionale allo sviluppo economico è diventato, nel percorrere i suoi nuovi obiettivi, il principale responsabile del degrado economico. Ciò ha favorito eccessi e controsensi, purtroppo numerosi, troppo spesso rappresentati dalla chiusura di fabbriche ed industrie produttive, a cui veniva levato l'ossigeno del credito soltanto perchè il guadagno ricavato era ritenuto troppo basso. Si è preferito speculare su investimenti volatili che hanno alterato la forma stessa dei tessuti sociali di comunità intere, spesso impoverite da operazioni avventate e fallimentari. Emarginando lo stato al mero ruolo notarile, la politica si è, nei casi migliori, appiattita su di uno stato di cose tutte giustificate dal feticcio del libero mercato, mentre, nei casi peggiori, ne è stata complice incamerando guadagni gestiti con leggerezza e sfacciataggine. Ora la necessità di imporre una ferrea regolamentazione a tutto il settore è improcrastinabile, la società europea, vittima di tasse e tagli, per ripianare debiti i cui responsabili, non solo non sono stati puniti, ma che sono stati liquidati con importi milionari, rischia di esplodere. Ma non si tratta soltanto di elaborare una nuova impostazione legislativa, quello che deve cambiare è anche l'impostazione stessa dello stato, che deve tornare ad essere un guardiano attento per tutelare i suoi componenti con occhio vigile e mano ferma, che la sua funzione gli attribuisce. Bisogna cioè uscire da una situazione neo medioevale, dove la massa ha la dignità di sudditi anzichè di cittadini. Ristabilire poi la supremazia della politica in campo economico è necessario per togliere la supremazia della finanza sulla società, una supremazia distorta e non legittima nè legittimata se non da fiumi di denaro che non hanno costituito alcun beneficio generale.

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