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martedì 11 settembre 2012

L’incremento della manifattura come soluzione all’uscita della crisi

La dichiarazione dell’ex presidente del consiglio italiano, Romano Prodi, che ha auspicato un incremento della manifattura a livello europeo, per combattere la disoccupazione e, contestualmente, il rilancio dell’economia. La tesi di Prodi parte dall’assunto che il costo del lavoro con le aree dove la manodopera è più conveniente si è ridotto in maniera considerevole. Se questo è vero è stato il meccanismo combinato che ha determinato un abbassamento dei salari verso il basso nelle zone dove il costo del lavoro era più elevato. Ciò significa un impoverimento di tanti addetti specializzati, che si è completato con l’aggiunta di perdita di professionalità legata alla delocalizzazione del lavoro. Ma, a parte queste considerazioni, la proposta di Prodi non si può non considerare, la saturazione del terziario, sopratutto di quello avanzato, pone degli interrogativi sulla distribuzione del lavoro nelle aree occidentali, che non possono non comprendere una riorganizzazione del tessuto produttivo che abbia al centro la massima diffusione possibile dei posti di lavoro. Ma la sola produzione non basta se non vi è una adeguata commercializzazione, a parte un mercato interno dei cosidetti paesi ricchi, che è tutto da riorganizzare, stimolare e rilanciare, vi sono i mercati emergenti, che per vastità e ricchezza, hanno costituito il traino per la crescita mondiale; questo è stato possibile per il passaggio da una economia arretrata ad una economia avanzata, basata, però, proprio sull’uso spinto della manifattura. Incrementare quindi la produzione di beni, più che di servizi, in una parte del mondo significa diminuirla da un’altra, a meno che non si riesca a trovare un equilibrio, peraltro fortemente instabile, su ui fondare il riassetto. Da una parte l’incremento occupazionale in occidente è funzionale anche ai paesi emergenti, che hanno proprio nelle nazioni più ricche, lo sbocco maggiore per le loro merci, ma dall’altra parte la concorrenza su questi mercati è la maggiore fonte di preoccupazione. La teoria che si compete con i cinesi con produzioni di livello elevato è vera soltanto in parte, l’indotto del lusso, pur florido, non può garantire una occupazione elevata perchè il mercato è limitato, quindi l’incremento manifatturiero di cui parla Prodi deve avvenire su livelli di prodotti inferiori, perchè consentono una penetrazione maggiore del mercato. Ma questa parte di produzione è stata pressochè abbandonata dagli industriali che hanno optato per una politica generalizzata di delocalizzazione, determinando la distruzione di un tessuto produttivo e del sapere ad esso connesso, che ora è completamente da ricostruire. Si aggiunga che tale necessità arriva in un momento storico che gli stati non possono supportare a pieno, perchè sono impegnati a salvare la finanza, che essi vedono ancora come motore della crescita, dimenticando le tante speculazioni, che hanno portato all’arricchimento di pochi ed all’impoverimento generale. La strada indicata da Prodi è una soluzione che per essere attuata ha bisogno di molta europa e di imprenditori illuminati che sappiano giocare sul medio e lungo periodo, non amministratori delegati incapaci di innovare, che scaricano la loro inettitudine sugli operai delle loro aziende, accanendosi sul falso problema del costo del lavoro. Eppure nonostante questi ostacoli al recupero della manifattura non vi è alternativa, ed il primo passo spetta proprio alle istituzioni statali che devono abbassare la pesante tassazione che grava sul costo del lavoro, senza di ciò e senza una giustizia civile più snella, fare industria in occidente sarà ancora difficile.

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