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lunedì 29 aprile 2013

Islanda: il risultato elettorale segna un ritorno al passato

Le elezioni islandesi restituiscono il potere ai partiti che hanno provocato la grande crisi che ha sprofondato il paese nella recessione del 2009. Appare singolare come il risultato delle consultazioni elettorali avvicinino il paese più settentrionale del continente europeo ai tanto derisi paesi latini, dell'europa meridionale, dove, malgrado le gravi situazioni economiche, alla fine, restano al potere sempre le stesse parti politiche. Così i poli geografici opposti del vecchio continente sono molto vicini in una restaurazione continua, che non tiene conto degli effettivi dati economici riscontrati. In Islanda il partito dell'indipendenza, orientato a destra, insieme con il partito del progresso, di centro e di matrice agraria, passeranno così dall'opposizione al governo. Il tasso di crescita dal PIL nello scorso anno, il 2012, è stato del 1,6%, ciò ha consentito l'uscita dalla recessione provocata dal rovinoso crollo dei tre principali istituti finanziari. In questi anni il governo in carica è riuscito a mantenere ad un livello adeguato il welfare statale ed il debito pubblico è stato ridotto, tanto che il Fondo Monetario Internazionale ha più volte citato l'azione del paese come esempio. Tuttavia, se le casse dello stato non sono più gravate dal debito, questo effetto si è riversato sulle famiglie, che ne hanno contratto, complessivamente un ammontare di quasi nove miliardi di euro, una somma enorme per una nazione così piccola. Una delle cause maggiori di questa situazione è il tasso di interesse legato ad una inflazione che determina aumenti continui e veloci dei pagamenti mensili, tanto che l'aumento anno degli interessi si aggira sul 4%. Ma anche la disoccupazione ha la sua quota di responsabilità: vicina allo zero prima della crisi, nel 2008 è schizzata all'undici per cento, portando nel paese una situazione di novità negativa, che ha trovato non del tutto pronti i governanti a gestire il fenomeno; attualmente i senza lavoro si attestano al cinque per cento, un dato senz'altro migliorato rispetto a quello precedente, ma con un impatto ancora determinante su un paese di piccole dimensioni, inoltre una causa della riduzione della disoccupazione è stato il ricorso ad una massiccia emigrazione, specialmente in Norvegia. Il paese, invece, avrebbe bisogno di rilanciare i dati sugli occupati con nuove opportunità, ma la crescita attuale non consente incrementi considerevoli. L'elettorato ha quindi espresso una scelta che manifesta un generale scontento per la forza politica che ha governato il periodo di crisi: i risultati raggiunti non sono stati considerati sufficienti per una riconferma e si è preferito tornare al passato. Ora i rischi sono dell'applicazione di una politica liberista, che non migliori la situazione debitoria delle famiglie ed, in più, aggravi quella dello stato con iniziative tendenti a portare nel paese capitali dall'estero. La finanza creativa e speculativa che ha creato il disastro del 2008 potrebbe ritornare a riaffacciarsi all'interno del sistema economico islandese, che, inoltre, si allontana sempre più dall'Unione Europea, vista dai vincitori delle elezioni come un gigantesco cappio capace di strangolare il paese, anzichè una opportunità di integrazione, sia sociale che economica.

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