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martedì 31 dicembre 2013

La questione cecena, centrale per l'equilibrio interno della Russia

Se dietro gli attentati che stanno sconvolgendo la Russia vi è, come pare, il problema ceceno esistono una serie di ragioni che possono spiegare questa evoluzione della spinta terroristica. La questione cecena è nata come volontà di separatismo con la disgregazione dell’Unione Sovietica, che ha causato due conflitti molto violenti nei periodi 1994-96 e 1999-2000; la risposta della Russia è stata quella di non effettuare concessioni agli insorti e rispondere con una politica repressiva, che ha soltanto esasperato gli animi e contribuito a creare una classe di guerriglieri molto motivata e ben preparata militarmente. Questi combattenti, che possono definirsi veri e propri militari esperti, sono confluiti ideologicamente nell’islam più estremo, che ha saputo riempire il vuoto politico e spirituale nella popolazione, creato da anni di violenza indicibile, diventando un movimento jihadista molto potente ed influente nel panorama del terrorismo islamico. La loro volontà di applicare la sharia, anche attraverso la creazione di un emirato caucasico, ha accresciuto notevolmente la loro influenza nei gruppi radicali, con i quali vi è un continuo scambio sia sul lato pratico che su quello ideologico. Ma questa volontà di elevare il fondamentalismo islamico a sistema politico nasce dalle innumerevoli frustrazioni, causate dalla rigida politica di Mosca, che ha saputo affrontare i problemi datti dalla mancanza di integrazione, dalla grande corruzione, dalle profonde diseguaglianze presenti sul territorio e dalla cronica inefficienza istituzionale, soltanto con violente repressioni che hanno costantemente violato il diritto ed hanno così impedito la creazione di un dialogo che portasse a soluzioni condivise capaci, almeno di limitare la reazione armata. Il risultato derivato è uno stato di conflitto quasi permanente, capace di causare circa 700 vittime all’anno per motivi legati al terrorismo. A questo stato di cose hanno contribuito anche le mancate promesse della precedente amministrazione russa, guidata da Medvedev, di dare una rappresentanza democraticamente eletta dal voto popolare, mediante l’elezione diretta dei leader, ai territori dell’Inguscezia e del Daghestan, creando ulteriore disillusione e scontento specialmente nelle fasce più giovani, quelle più sensibili al richiamo della lotta armata. Il finanziamento del terrorismo passa attraverso l’estorsione locale, attraverso omicidi e sequestri. D’altra parte i militari russi usano, in modo sistematico la tortura ed i comandanti militari delle truppe del ministero dell’interno godono di ampia libertà di azione, che spesso viene usata per la totale sospensione delle garanzie costituzionali. In questo clima la popolazione, spesso oppressa da due parti contemporaneamente, vive in modo stremato la situazione e data la povertà,ormai quasi endemica per i tanti anni di guerra, sia effettiva, che latente, appoggia i ribelli. Le principali conseguenze sono però la violazione dei diritti umani, come testimoniato più volte dalle organizzazioni umanitarie. In questo contesto di lotta continua l’occasione di alzare l’attenzione mediatica mondiale, che spesso ha trascurato questo conflitto, rappresentata dai giochi olimpici pare una occasione troppo grossa per il terrorismo islamico, anche per guadagnare ulteriore prestigio nei confronti di organizzazioni arabe, che già vedono favorevolmente la lotta cecena. Alzare il livello del conflitto può servire anche a rafforzarsi finanziariamente ottenendo aiuti dai ricchi finanziatori, che grazie al petrolio possono concedere grossi aiuti ai gruppi fondamentalisti. Questo potrebbe significare un grosso problema per il Cremlino, ma anche una occasione per impostare in maniera differente il rapporto con questi territori, aprendo a nuove soluzioni in favore di una convivenza pacifica, ottenibile soltanto cedendo quote di sovranità in favore di una maggiore autonomia. Uno sforzo enorme per la visione centralistica di Mosca, poco favorevole finora a concedere maggiore spazio a soggetti nazionali che non condividono in pieno la politica di Putin, improntata ad una volontà di nuovo protagonismo per la Russia.

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