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giovedì 24 aprile 2014

Lo stallo dei negoziati favorisce l'unità dei palestinesi

L’accordo che sancisce l’unità dei palestinesi, sembra complicare ulteriormente il processo di pace che era già di fatto bloccato dalla situazione contingente. La riconciliazione tra le fazioni palestinesi ha provocato l’immediata condanna del governo israeliano ed anche di quello statunitense, che ritiene Hamas una organizzazione terroristica, fattore che può complicare gli sforzi di pace. In realtà soprattutto il governo di Tel Aviv, ma anche quello di Washington, dovrebbero cercare al loro interno i motivi di questa riunione, che può rappresentare, sotto una certa ottica, un fallimento in prospettiva di un accordo definitivo sulla annosa questione tra israeliani e palestinesi. I ripetuti rinvii del governo israeliano, nonostante le pressioni americane, sono alla base della riunificazione tra i palestinesi: Abu Mazen non poteva giustificare una divisione continua tra il popolo della Palestina senza portare alcun risultato concreto; deve essere specificato che i palestinesi seduti al tavolo delle trattative hanno sempre mantenuto un atteggiamento propositivo e disponibile, nonostante le continue e nuove condizioni poste dagli israeliani. Nella stessa compagine governativa di Tel Aviv non vi è unità assoluta di intenti verso un risultato positivo ed alcuni ministri sono contrari al proseguimento delle trattative. Questa linea è portata avanti dal partito dei coloni, che difendono gli insediamenti abusivi in Cisgiordania e che temono dalla nascita di uno stato autonomo palestinese di essere costretti all’abbandono delle colonie. Il premier israeliano non è apparso impegnato più di tanto sul versante delle trattative, sia per ragioni ideologiche, sia per ragioni di sopravvivenza del proprio esecutivo, troppo legato agli ambienti nazionalistici. Se l’impegno di Kerry è fuori discussione, l’atteggiamento troppo morbido della Casa Bianca, che non ha esercitato sufficiente pressione sullo stato israeliano, ha favorito una condotta da parte del governo di Tel Aviv niente affatto conciliante con una soluzione definitiva dei negoziati. Obama aveva messo al centro dei suoi obiettivi di politica internazionale la creazione dello stato palestinese e con esso, la fine della questione mediorientale; ma il punto attuale di avanzamento non permette di intravedere una soluzione. Si tratta quindi di un fallimento per la Casa Bianca, che potrebbe ripercuotersi, aldilà della solidarietà manifestata ad Israele, ad un nuovo tipo di relazione con Tel Aviv. Israele da per scontato l’appoggio incondizionato degli USA, ma, se l’alleanza non è in discussione, il legame potrebbe allentarsi. Il calcolo di chi ha remato contro la pacificazione del medio oriente non ha tenuto conto di questa variabile, puntando soltanto a mantenere la supremazia sui territori, senza calcolare le possibili reazioni americane ed anche quelle palestinesi. Deve essere specificato che una riconciliazione tra le diverse anime del popolo palestinese non era facile, soprattutto per la condotta del presidente Abu Mazen, giudicata troppo morbida per le fazioni più estreme. Abu Mazen ha invece saputo tessere una abile rete diplomatica, che ha fatto guadagnare alla causa palestinese il consenso internazionale, lasciando Israele sempre più isolato. Tuttavia l’azione diplomatica palestinese non è mai stata eccessiva, pur avendo annunciato l’intenzione di iscrivere l’Autorità palestinese a ben 15 organizzazioni internazionali, Mazen non ha mai presentato la richiesta verso la Corte penale internazionale, dove la Palestina avrebbe potuto presentare istanze contro le violazioni dei diritti umani perpetrate da Israele. A questa linea palestinese, Israele non ha saputo adeguare la sua azione restando imprigionata in vecchi schemi politici, che non gli hanno permesso di superare i contrasti interni per arrivare ad una pacificazione, richiesta non soltanto dagli USA, ma dal mondo intero. Rimuovere dal teatro internazionale la questione tra Israele e Palestina significherebbe eliminare una giustificazione di buona parte del terrorismo islamico e dell’instabilità regionale. I palestinesi hanno ribattuto alle critiche, slegando il processo e le trattative di trovare una via d’uscita alla questione, con l’unificazione delle fazioni palestinesi, che avviene nell’ottica di una conciliazione nazionale, una pura questione interna. Riesce, peraltro, difficile obbiettare alla motivazione che con una pacificazione dei palestinesi, il processo di pace sia più agevole; infatti una unità del movimento palestinese che dovesse accettare le regole condivise in un negoziato con gli israeliani, rappresenterebbe inequivocabilmente una garanzia maggiore per entrambe le parti. La speranza è che invece di essere una opportunità, questa unità appena nata, non diventi per Israele l’ennesimo pretesto per non portare a termine un negoziato che tutto il mondo aspetta da tempo.

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