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venerdì 27 marzo 2015

Gli USA hanno bisogno di un nuovo rapporto con l'Iran

Gli interessi americani non possono più prescindere dall’Iran. Questo è il motivo per cui la Casa Bianca insiste nel mantenere la linea dei negoziati sul problema nucleare, nonostante qualche rallentamento. I due paesi sono ancora distanti su molte cose ed anche al loro interno vi sono forti contrarietà a rapporti più stretti, così come nel campo degli alleati degli Stati Uniti, soprattutto quelli regionali, che vedono questo potenziale legame come un pericolo per la loro stabilità. Si tratta soprattutto delle monarchie del Golfo e di Israele, che oppongono, da punti di vista differenti, ma sempre di tipo strategico, la loro contrarietà al progressivo avvicinamento tra Washington e Teheran.  Tuttavia per Washington l’esigenza in politica estera del rapporto con l’Iran è più strutturata e complessa, giacché abbraccia i temi della lotta al terrorismo islamico, nel breve periodo al califfato, nel lungo l’elaborazione di una strategia di prevenzione comune che comprenda anche temi più ampi come il problema afghano. Deve essere specificato che la Casa Bianca è stata quasi costretta a muoversi in direzioni opposte allo stato delle alleanze precedenti: l’immobilità, proprio di Arabia Saudita, quando non ha intrapreso azioni di cui non è stata in grado di controllare, come l’iniziale sostegno in Siria alle milizie da cui è nato il califfato, è rimasta ferma su dichiarazioni di principio, senza fornire l’adeguato supporto contro i nemici degli USA, l’atteggiamento di Israele, incapace di risolvere il problema palestinese e solo attento alle proprie necessità, ha generato un senso di sfiducia, che ha determinato la necessità di trovare nuovi interlocutori. Un caso analogo si è presentato nel rapporto con il Pakistan, da tempo ritenuto un alleato fortemente inaffidabile, pur continuando il rapporto di collaborazione, per la gestione del caso afghano, si è capito che l’Iran, di cui i talebani sono un nemico comune, potrà garantire un aiuto più concreto. Se queste previsioni si avvereranno potrebbe spostarsi l’asse centrale delle alleanze americane, sotto il punto di vista religioso, passando da legami maggiori con i sunniti verso quelli con gli sciiti. Questo fattore implica la crescente importanza del fenomeno del terrorismo sunnita, sfuggito al controllo delle autorità, sia politiche, che religiose, che dovrebbero controllarlo. Il caso dello Stato islamico, che rappresenta un cambio radiale di paradigma, anche rispetto ad Al Qaeda, è il chiaro esempio della situazione fuori controllo da autorità esterne in cui opera il califfato, dove alla base della sua forza vi è un esercizio chiaro di sovranità su di un territorio, più o meno definito, in modo da presentarsi come entità statale, ancorché non riconosciuta, capace di darsi un ordinamento istituzionale e leggi che governano la vita della popolazione. Se questo fenomeno è sfuggito di mano ai paesi arabi che hanno contribuito economicamente e con altro tipo di aiuti a farlo nascere, rappresenta già un lato debole nell’ottica degli alleati americani, ma è ancora più grave che gli stati che godono della stretta alleanza statunitense non mettano in campo forze sufficienti a debellare il fenomeno. Questo con gli sciiti non accade, non vi sono, al momento fenomeni analoghi al califfato, ma di matrice sciita, la sensazione è che il controllo esercitato dall’Iran su formazioni paramilitari sciite sia più sicuro; ciò non vuole dire che in futuro non possano svilupparsi situazioni simili, magari proprio come reazione dei rapporti con gli USA, ma per il momento, da questo punto di vista, l’Iran fornisce maggiori garanzie. Certamente per fare accettare una conclusione positiva delle trattative  sul nucleare iraniano agli alleati contrari, occorrerà concordare garanzie che Teheran non sia in grado di utilizzare la tecnologia nucleare civile per scopi militari, una condizione che include una certa fiducia da accordare agli iraniani, elemento imprescindibile per cominciare una nuovo rapporto bilaterale. 

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