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martedì 24 novembre 2015

Gli inaffidabili alleati dell'occidente nella lotta al terrorismo

Il continuo sviluppo degli avvenimenti politici e militari in ambito internazionale, pone l’occidente davanti a domande alle quali non è più possibile non fornire risposte adeguate. Dalla fine della guerra fredda, le cui conseguenze sono state interpretate, ormai si può dire, a torto in senso positivo, i profondi cambiamenti della scena diplomatica hanno provocato un continuo ribaltamento di posizioni che si credevano consolidate e che dovevano favorire la pace mondiale grazie ad equilibri durevoli. Ma non è stato così. Paradossalmente la situazione immobile della guerra fredda, con due blocchi ben distinti contrapposti, forniva una chiara visione del quadro d’insieme, su cui dovevano agire le grandi, le medie e le piccole potenze. Attualmente, al contrario stiamo assistendo all’ingresso di nuovi soggetti internazionali, che, pur non essendo nazioni nel senso classico del termine, agiscono in condizioni di sovranità su porzioni di territori definiti ed esercitano la forza militare, con modalità ordinarie insieme ad impieghi alternativi ed al di fuori della zona che si sono attribuiti, tipici di movimenti definiti comunemente terroristici. Il richiamo a questa fattispecie riguarda lo Stato islamico in Siria e parte dell’Iraq, ma non si può dimenticare Al Shabab, che opera in Somalia ed in Etiopia, Boko Haram in Nigeria, le coorti islamiche in Libia ed i talebani in Afghanistan. Contro gli eserciti di queste entità parastatali sono stati impegnati eserciti regolari, che spesso non sono riusciti ad averne ragione, contribuendo, con questi insuccessi, a rafforzarne il prestigio di fronte ad una platea spesso formata da aderenti religiosi, sia di ispirazione integralista, sia di credo più moderato. Risulta chiaro che questi movimenti hanno sfruttato l’insoddisfazione di grandi masse, che uscivano spesso da dominazioni dittatoriali e versavano in condizione di estrema povertà e scarsa cultura, sopratutto politica, ed il fatto che l’affermazione di queste formazioni ha coinciso con il fallimento delle primavere arabe è uno dei fattori più indicativi. Tuttavia soltanto queste argomentazioni non bastano a spiegare il successo di tanto radicalismo, senza nulla togliere alla bravura di avere saputo incanalare la rabbia degli islamici, lo sforzo finanziario fatto da alcuni paesi, che ne hanno sostenuto la nascita e l’espansione è risultato determinante. Dopo non è chiaro se queste creature sono sfuggite di mano a chi credeva di controllarle attraverso gli strumenti finanziari o se queste nazioni continuino a dirigerle ed indirizzarle per i propri scopi, tradendo rapporti di alleanza che durano da anni. Il caso più eclatante riguarda gli Stati Uniti ed il loro rapporto con stati come l’Arabia Saudita e la Turchia, la cui alleanza è di lunga data, ma le relazioni sono state incrinate, in special modo da quando Washington ha portato avanti le trattative per il nucleare iraniano, generando nei paesi sunniti un grande risentimento. Questo fattore, unito all’ambizione di sottrarre la Siria all’influenza sciita è all’origine della nascita dello Stato islamico, derivante dalla crescita esponenziale di più movimenti di stampo integralista. Più volte gli Stati Uniti hanno cercato un accordo con i due principali paesi dell’area sunnita senza andare oltre a soluzioni che garantissero appena l’apparenza dell’immagine ufficiale. La non affidabilità di questi paesi, del resto, non è l’unico caso nel quadro delle alleanze occidentale, basti ricordare il Pakistan, dove si rifugiava Bin Laden, che ha vasti settori della propria amministrazione compromessi con il radicalismo islamico. Le esigenze di natura tattica, strategica e diplomatica, obbligano certamente a fare sfoggio di equilibrismo nell’ambito dei rapporti internazionali, ma sarebbe necessario applicare criteri maggiormenti rigidi per scegliere gli alleati. Nazioni come l’Arabia Saudita ed, in genere le monarchie del Golfo, non presentano requisiti sufficienti sulla garanzia dell’assicurazione della presenza e dell’applicazione dei diritti umani e civili, si parla, cioè, di stati dove l’adulterio comporta la lapidazione, non esiste la libertà di stampa e la dissidenza viene punita con il carcere e perfino con la morte. Un grave deterioramento della situazione del terrorismo internazionale deve fare sorgere la domanda se queste condizioni non sono state facilitate anche dai rapporti continui che gli stati occidentali hanno e stanno tenendo con nazioni che dovrebbero essere totalmente escluse da ogni consesso internazionale dove siedono le democrazie mature. Certamente a questi concetti si può opporre che la bontà della teoria contrasta con gli effetti della vita pratica. Si tratta di un assunto che non si può purtroppo contraddire: l’occidente ha goduto degli effetti stabilizzatori che i regimi, poi sconfitti dalle primavere arabe, assicuravano ai loro equilibri, prima economici e poi politici. Ciò mette in risalto come non sia stato sfruttato il tempo seguente alla fine dei domini coloniali, per favorire transizioni democratiche, ma sfruttare la presenza del dittatore di turno che garantiva il facile accesso alle risorse dello stato ex colonia. Così si è arrivati impreparati alle primavere arabe ed al loro fallimento, condizione che ha accomunato tutto l’occidente e su questo assunto ci si dovrebbe interrogare sulla competenza dei governanti delle nazioni europee e nordamericane. A dimostrazione di ciò si veda il caso egiziano, dove  è stata  vista con favore l’affermazione di  una dittatura militare, per evitare di avere anche il paese egiziano governato da una formazione musulmana, con il pericolo di aprire un fronte militare molto pericoloso, perchè al confine con Israele. Le considerazioni circa l’instaurazione di parametri universali per stabilire delle alleanze possono quindi esistere solo sulla carta ed è altresì vero che l’occidente non può chiudersi in se stesso al riparo da ogni pericolo, perchè proprio da qui proviene la globalizzazione che ha diminuito l’efficacia dei confini; pensare a mondi rigidamente separati è ormai impossibile, anche se ciò comporta avere la fattispecie del terrorismo di matrice islamica entro le frontiere statali. Per porre riparo alla situazione attuale occorrerebbe avere tempo e ragionare sul lungo periodo, cosa che deve essere fatta, ma parallelamente a soluzioni più rapide, che consentano di alleggerire la tensione e le guerre. In questa ottica oltre al lavoro diplomatico si deve trovare il modo di diminuire o interrompere i rifornimenti di armi a tutti quegli stati, anche alleati, che non presentino le garanzie democratiche sufficienti e non condividano gli obiettivi di politica internazionale; in secondo luogo è necessario ricercare una sempre maggiore indipendenza energetica, per sottrarre i proventi del petrolio dal circuito del finanziamento del terrorismo. Non si tratta di cose semplici, ma sono necessarie ad avere una rete di alleati più rispondente agli stessi obiettivi occidentali, che dovranno comunque adeguarsi ad un maggiore rispetto per le ragioni degli altri stati, tenendo ferme le discriminazioni necessarie ad evitare di allearsi con possibili fiancheggiatori del terrorismo.

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