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venerdì 10 giugno 2016

L'Unione Europea pensa ad un piano finanziario per fermare il flusso dei migranti

Esiste un progetto dell’Unione Europea che, partendo da quanto concordato con la Turchia, positiva o negativa che sia questa esperienza, punta a creare un modello per fermare l’immigrazione verso il proprio territorio. Alla base di questa visione vi è una netta distinzione tra rifugiati e migranti economici. Tuttavia le modalità di trattamento del fenomeno sono all’incirca le stesse. Per entrambi i casi si vuole finanziare quei paesi che ospitano i rifugiati, come la stessa Turchia, il Libano e la Giordania; mentre, per quanto riguarda i migranti economici si vuole privilegiare gli investimenti in quelli stati che possano creare occasioni di lavoro, per evitare, o, almeno, limitare, il fenomeno migratorio.  Il provvedimento, in generale, potrebbe essere condivisibile, tuttavia senza una analisi precisa della situazione politica degli stati a cui destinare i contributi, si rischia di replicare la situazione che l’Unione Europea sta vivendo attualmente con la Turchia, dove Bruxelles, sostanzialmente non ha tenuto conto della natura del regime di Erdogan per risolvere in fretta un problema che può compromettere l’integrità europea. Il rischio è quello di ottenere dei piccoli vantaggi a fronte di una situazione di costante ricatto. Infatti, se è pur vero che la pressione sulla Grecia e sulla rotta balcanica è diminuita per effetto degli accordi con Ankara, risulta altrettanto vero, che la Turchia si aspetta dei tornaconto, che in questo momento l’Europa non può corrispondere proprio per la situazione interna del paese turco, dove i diritti e le libertà individuali sono fortemente compromesse. Per il momento il governo turco sta attuando una tattica di attesa, ma ha sempre la possibilità di cambiare atteggiamento e riaprire i flussi migratori. L’esempio turco rappresenta un modello da seguire sopratutto per evitare le sue controindicazioni: se è vero che una Europa incapace di trovare soluzioni alternative ha dovuto sfruttare la posizione geografica della Turchia, questo limite non sarà valido per stipulare accordi con stati molto più distanti. Il progetto europeo non è comunque, soltanto quello di distribuire finanziamenti, ma anche quello di creare dei legami particolari con gli stati che aderiranno a questo programma. Questo aspetto implica un coinvolgimento diretto dell’Europa, che non potrà più prescindere  dallo stringere accordi esclusivamente con stati governati da esecutivi in grado di assicurare un assoluto rispetto dei diritti e delle garanzie democratiche. Si tratta di un aspetto fondamentale anche per attuare un programma che abbia come obiettivo anche quello ampliare il godimento dei diritti in paesi dove non sono assicurati. Un aspetto da seguire con particolare attenzione, direttamente connesso alla distribuzione dei finanziamenti è quello che riguarda la grande corruzione che patiscono molti paesi africani e che rischia di vanificare lo sforzo economico di Bruxelles. Concedere finanziamenti senza la garanzia di come verranno impiegati rischia di diventare un boomerang per l’Unione Europea, che potrebbe andare a finanziare inconsapevolmente, non solo affaristi locali ma anche esponenti della malavita, fino ad  arrivare a situazioni più gravi come il terrorismo. L’importo complessivo che dovrebbe essere stanziato arriva a 8.000 milioni di euro, in parte comprendente importi già previsti, che dovranno essere impiegati nei prossimi cinque anni per trovare soluzioni sostenibili e conformi alle richieste europee.  I paesi africani con i quali dovrebbero iniziare le collaborazioni sono Nigeria, Niger, Etiopia, Senegal e Mali. Il meccanismo, oltre che preventivo, cioè capace di evitare nuove ondate migratorie, dovrebbe essere in grado anche di favorire il ritorno dei migranti economici, grazie all’esistenza di nuove prospettive lavorative nei loro paesi di origine, create proprio con i finaziamenti di Bruxelles. Il discorso sui rifugiati è più complesso perchè dovrà riguardare più fasi, nell’attesa della fine delle condizioni che hanno determinato la fuga dai paesi di provenienza, come la guerra ed i conflitti presenti nell’area medio orientale. Sicuramente una situazione di pacificazione dei territori è la condizione essenziale per il ritorno nei paesi di origine, ma, insieme, devono essere garantite le condizioni igieniche ed alimentari, non meno importanti dei diritti politici e civili. Occorre considerare anche l’assistenza necessaria nei campi profughi, spesso al collasso, chenei paesi confinanti ospitano i rifugiati.  Una parte dei finanziamenti dovrà riguardare il miglioramento delle condizioni di queste strutture, sempre meno sicure dal punto di vista umanitario. Si tratta di decisioni troppo al ungo rimandate, che dovevano essere prese prima ed in maniera più graduale per evitare le crisi umanitarie che hanno riguardato i paesi europei, che non hanno fatto una figura degna della loro storia. Si vedrà se questi progetti saranno perseguiti con convinzione, potranno riportare l’Europa al suo ruolo, anche pratico e non solo teorico, di paladina dei diritti.

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