Politica Internazionale

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martedì 15 marzo 2011

Ancora sulle conseguenze possibili di una vittoria di Gheddafi

Dopo il figlio anche il padre minaccia l'occidente. Gheddafi intervistato dal quotidiano italiano "Il Giornale" minaccia espressamente l'alleanza con Al Qaeda ed in ogni caso la rottura delle relazioni commerciali con tutto l'Ovest ed in primis con l'Italia. Anche il terremoto giapponese contribuisce a distogliere l'attenzione dalla guerra libica, e tutto il tempo che passa senza un aiuto ai ribelli gioca a favore del regime di Tripoli. Sul campo le forze militari leali al rais, guadagnano terreno, aiutati anche dall'azione dell'aviazione, che bombardando dall'alto i ribelli, risulta decisiva nell'avanzata delle forze di terra. Ill dittatore ammette che potrebbero esserci dei contatti con il ministero degli esteri italiano, ma il livore per essere stato abbandonato da governi che riteneva amici, fa temere il peggio per il futuro. Gli attentati libici del passato potrebbero ripetersi, con una situazione peggiore se Gheddafi decidesse di offrire il territorio libico, come base di Al Qaeda. Frattanto non si sente più Obama e Sarkozy pare essersi defilato, ciò lascia l'Italia in posizione pericolosa di fronte alla Libia, intanto l'invasione degli immigrati continua, ed è solo un piccolo assaggio di quello che potrà succedere se Gheddafi avrà ripreso il pieno controllo dello stato. Una rottura con il regime di Tripoli, pare inevitabile se Gheddafi risulterà vincitore, l'Italia rischia di essere solo la prima vittima della vendetta del rais, che a seguire si abbatterà sui paesi del Mediterraneo, fino a coinvolgere l'intera UE. Di fronte a questa concreta minaccia, colpisce ancora una volta l'immobilismo internazionale, che non si decide ad intraprendere un'azione per la salvaguardia del suo futuro; anche alla luce di un'altro aspetto preoccupante, quale è la possibile alleanza Libia-Iran, si rischia di trovare le navi militari di Teheran sulla costa sud del Mediterraneo. Gli equilibri mondiali rischiano di saltare.

lunedì 14 marzo 2011

Mille soldati sauditi nel Bahrein

Il Bahrein ha richiesto aiuto al Consiglio di Cooperazione del Golfo, per contrastare l'ondata di protesta che si è sviluppata nel paese. Circa 1.000 soldati provenienti dall'Arabia Saudita hanno varcato le frontiere del paese per sostenere il governo nel controllo del paese. Il partito di opposizione scita, Wefan, una delle anime della protesta, ha avvertito, che qualunque ingerenza esterna o un intervento militare proveniente dai paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, sarà interpretato come una invasione straniera e considerato come una dichiarazione di guerra. La richiesta di aiuto proveniente dalle autorità di Manama, è giunta per proteggere gli edifici governative e le installazioni strategiche del paese, bersaglio più volte della rivolta. Nonostante le dichiarazioni del principe ereditario, disposto alla trattativa per allargare i poteri del parlamento e rformare i distretti elettorali, la mossa del contingente saudita entrato nel Bahrein rischia di innescare una escalation della tensione con esiti incerti. Apprensione anche per gli USA, che hanno nel paese la loro base operativa nel golfo.

Giappone: il sisma è anche economico

La terza economia del mondo è in ginocchio; gli effetti del sisma e del conseguente tsunami mettono in grave pericolo la produttività e la stabilità non solo dell'economica nipponica, ma dell'intero sistema mondiale. Diverse fabbriche, tra cui i marchi più noti dell'automobile e dell'elettronica, pur cercando faticosamente di ripartire, sono di fatto fermi. Oltre alle devastazioni materiali esiste il concreto problema dell'approvigionamento energetico, dato che ben undici reattori nucleari, dei cinquanta installati, sono stati spenti. In queste prime ore la razionalizzazione energetica programmata dai veritici di Tokyo, dovrebbe riuscire a contenere la domanda di energia, il problema è l'immediato futuro, dato che, ragionevolmente tutta la rete nucleare giapponese dovrà essere sottoposta ad attenta revisione, la mancanza energetica nipponica si riverberà sulla domanda complessiva del globo, andandosi a sommare alla crisi petrolifera. Il quadro che potrebbe andare a comporsi vedrebbe schizzare i prezzi sia del combustibile che della stessa energia elettrica mettendo a dura prova l'economia mondiale, già provata da due anni di crisi, vanificando la piccola ripresa che si era concretizzata. Sul fronte interno giapponese la banca centrale ha da subito immesso nel sistema finanziario 131,6 miliardi di euro, versati nelle banche locali per permettere la ripartenza della vita economica il più rapidamente possibile. Dal punto di vista della finanza la borsa di Tokyo, perde un 6%, un passivo totale tutto sommato contenuto, anche se i valori negativi più alti sono dei produttori automobilistici, tutti colpiti, sia dalla chiusura di diversi stabilimenti, sia dalla incombente minaccia dell'aumento energetico. Più difficile immaginare il destino dello stato giapponese, che annovera il più alto debito pubblico del mondo, finora la rete produttiva ha fatto da protezione al deficit dello stato, ma una possibile flessione della produttività per cause di forza maggiore potrebbe rendere difficoltoso il problema del debito pubblico, costringendo il governo a tagli non sostenibili in un momento del genere.

sabato 12 marzo 2011

Libia le minacce ed un futuro possibile, ma non augurabile

Le minacce del figlio del leader libico all'Italia, segnalano lo stato di difficoltà per Roma, ma in generale per quasi tutto l'occidente, di smarcarsi in modo netto e deciso da Gheddafi. La dipendenza energetica è solo uno dei fattori che determinano uesto stato di cose; anche se la prospettiva di perdere la partnership con la Libia creerebbe più di un problema alla penisola. La questione energetica è certamente un tasto sul quale la sensibilità italiana mostra più di un nervo scoperto e la minaccia di girare la vendita di tutto il petrolio ed il gas alla Cina porrebbe all'economia italiana, la necessità di riorganizzare tutto il sistema degli approvigionamenti. Del resto una delle mire della Francia, che ha dato il più completo appoggio ai ribelli, è proprio quello di sostituire l'Italia come partner economico privilegiato. L'attendismo italiano e della UE, ha tutto sommato qualche giustificazione, anche se non si fa una bella figura, tuttavia la compromissione dei rapporti, anche con una politica ben poco decisonista, è ormai cosa fatta. Conviene ora prepararsi ad ogni possibile evenienza e cercare una alternativa all'inazione, a questo modo si hanno come nemici entrambi gli schieramenti. Anche perchè il problema energetico è solo un aspetto del problema; la gestione dei profughi, che saranno sempre più usati come arma di ricatto e la questione del terrorismo sono solo gli le emergenze più rilevanti con cui avere a che fare. Il problema più grosso si avrebbe con una vittoria di Gheddafi, anche parziale. Con il dittatore ancora al comando, anche di una Libia dimezzata, cosa diventerebbero i rapporti con la UE, ma in primis con l'Italia? Roma avrebbe una nazione, ancora forte, come nemica davanti alla porta di casa, una nazione comandata da un dittatore sicuramente pronto a fare pagare lo sgarbo, anche con azioni eclatanti. Si potrebbe aprire un fronte militare nel Mediterraneo del sud tale da tenere in allarme le forze armate italiane senza soluzione di continuità. Gheddafi ancora in piedi, in prospettiva futura, rappresenta un pericolo ormai per tutti gli stati, perchè non avrebbe più alcun controllo ne remora ad usare metodi che ha già usato in passato, ricordiamoci dell'attentato di Lockerbie e del sostegno dato ai gruppi terroristici europei con fondi, armi ed addestramento. Ci sono nazioni, e l'Italia è tra queste, che potrebbero essere colpite da attentati degni della strategia della tensione. Dal punto di vista diplomatico Gheddafi potrebbe allearsi con regimi come quello iraniano, creando un asse folle con Teheran. Il mondo non può permettersi una vittoria di Gheddafi, in questo la Francia ha ragione.

venerdì 11 marzo 2011

Il disastro giapponese si abbatte su di un paese già in difficoltà

Il terremoto che si è abbattuto sul Giappone avrà effetti nefasti anche sull'economia del paese del sol levante. Il paese si trova alle prese con difficoltà congiunturali, dovute alla fine del periodo d'oro degli anni '80 e '90 del secolo scorso, dove le esportazioni di materiale tecnologico trainavano tutta l'economia della nazione. Il Giappone è gravato da un enorme debito pubblico e da fenomeni di deflazione che ne minano la ripresa. La strategia dell'apprezzamento della moneta nazionale ha avuto il solito doppio effetto, proprio di manovre del genere: ad una maggiore capacità di acquisto di materie prime ed energetiche, è corrisposto una difficoltà delle esportazioni,a causa dell'innalzamento dei prezzi delle merci e dei beni giapponesi; tuttavia un blocco della borsa nipponica, per la capacità finanziaria di liquido trattato sarebbe una iattura per la finanza mondiale. Se la situazione economica anche quella politica non versa in buone condizioni, una serie di scandali legati a contributi ricevuti da esponenti di governo da parte di imprese sudecoreane, ha determinato una serie di crisi politiche. Gli scandali hanno destato particolare attenzione, perchè i contributi di aziende straniere sono vietati ai politici giapponesi, ed hanno provocato la richiesta delle opposizioni di effettuare elezioni anticipate. Anche sul versante della politica estera il Giappone vive un senso di minaccia per la presenza della bomba atomica nordcoreana a pochi chilometri dalle sue coste e patisce la sempre più crescente potenza della Cina. In questo quadro, non proprio facile, il Giappone dovrà districarsi dal disastro in cui è occorso. Il pericolo di una nazione di tale importanza in ginocchio dal punto di vista umano ed economico è un problema anche per gli USA, che ne fanno l'alleato principe in una delle regioni più calde della terra, appunto per la presenza della Corea del Nord e della Cina. Il disastro giapponese colpisce anche Washington, sempre più trascinata nelle crisi mondiali; quello di Tokio sarà un fronte, sopratutto economico, dal quale non sarà possibile sfilarsi.

Aumenta la richiesta dei diritti in Arabia Saudita

Continuano le proteste in Arabia Saudita, nella giornata odierna è andata in scena "la giornata della collera", organizzata da attivisti per i diritti umani e moderati sciti e sunniti. Inizialmente le proteste si caratterizzavano per l'egemonia scita, minoranza nel paese, la presenza, invece di sunniti, rappresenta una novità nel panorama delle proteste. E' un segnale che le manifestazioni stanno perdendo la connotazione religiosa per virare verso l'aspetto dei diritti civili. La richiesta di maggiori garanzie per i diritti si allarga ad ogni ceto sociale, negli ultimi giorni diversi accademici hanno messo la loro firma su petizioni che richiedono riforme. I primi effetti sono state le dichiarazioni del Ministro degli esteri saudita che ha affermato che ogni cittadino ha diritto di esprimere la propria opinione a patto di non minacciare la sicurezza dello stato; inoltre il governo ha incaricato un centro studi per aprire un canale di dialogo con tutti i sudditi della nazione. Per l'Arabia Saudita la situazione rappresenta una novità assoluta, nel regime monolitico si stanno aprendo crepe che richiedono un nuovo modo di affrontare il rapporto stato-cittadini, il governo cerca di arginare la protesta con nuovi stanziamenti di fondi pubblici e ricerca del colloquio con le anime più moderate della protesta, cercando di evitare una deriva violenta o che metta in pericolo il potere costituito. Quello che sembra è che sia partito un processo irreversibile verso la concessione di diritti civili, che dovrà, giocoforza, riconsiderare l'impianto stesso dello stato arabo.

I dubbi sulla UE

Si sono verificati una serie di episodi che mettono in grande dubbio l'efficacia dell'Unione Europea, almeno dal punto di vista politico e più strettamente della politica internazionale, e che devono porre questioni cruciali perfino sulla sua ragione di essere. Fatta salva l'importanza culturale e ancor più economica dalla UE, che ha raggiunto risultati consistenti, come la moneta unica, la libera circolazione delle persone e delle merci, la redistribuzione del reddito europeo agli stati, mediante aiuti e finanziamenti atti a portare sviluppo, la situazione politica è di forte immobilismo. Si è preferito, forse in maniera troppo affrettata, adottare la tattica di includere più stati possibli, ed il processo continua, senza verificare le effettive intenzioni dei governi su temi politici comuni e sul reale senso di appartenenza all'Europa. I nuovi stati sono stati attratti dalla possibilità di entrare in un mercato comune praticabile e dalla possibilità di ricevere aiuti, senza condividere i sentimenti europeisti degli stati fondatori. Si è arrivati al paradosso di consentire l'entrata di stati governati da partiti realmente antieuropeisti. Spesso l'attività dei nuovi stati è stata sollevare eccezioni così da rallentare ilprocesso decisionale di Bruxelles. Non che le vecchie nazioni siano state da meno, ci sono casi nei quali i vecchi componenti della UE pare si siano adeguati all'ostruzionismo dei nuovi, senza coinvolgerli nell'effetivo processo europeista convinto. Anche il caso Inglese e di quei paesi che non sono entrati nell'area euro è simbolico, la moneta unica dovrebbe essere un requisito essenziale per essere dentro l'Unione. Ci si trova così in una condizione dove il reale processo di unificazione che deve portare agli Stati Uniti d'Europa è praticamente fermo per i mille granelli immessi negli ingranaggi; non si trova una linea comune su cui muoversi velocemente per dare finalmente il giusto impulso decisionale agliorganismi centrali. Il caso francese, nella politica internazionale, è emblematico. Di fronte ad un immobilismo ed alla indecisione di Bruxelles, su di un tema così importante, il governo francese ha deciso di muoversi per suo conto. E' un gesto senza precedenti, che in un momento molto grave, crea un precedente pericoloso. Le conseguenze di questo atto rischiano di minare per il futuro la politica estera comunitaria. Senza contromisure, di carattere legale, ma sopratutto condiviso dalla maggioranza, che diano maggiori capacità di azione agli organi centrali, si rischia di avere 27 politiche estere diverse, talora contrastanti se non opposte. A ben vedere questa anarchia comunitaria fa il paio con chi non vuole la moneta unica, è tutta una teoria che contrasta il fine della UE. Occorre ridiscutere tutto il processo unificatorio ponendo alla base requisiti minimi di entrata, che vertano sulla comune condivisione di strumenti ed obiettivi. Pur non essendo possibile riazzerare tutto il processo e ripartire da zero, una attenta revisione dovrebbe essere contemplata, altrimenti gli Stati Uniti d'Europa saranno soltanto una chimera.