Politica Internazionale

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mercoledì 23 marzo 2011

Elezioni comunali in Arabia Saudita

L'Arabia Saudita cerca di fermare le proteste con lo strumento della legalità. Sono state, infatti indette le elezioni municipali, unica consultazione elettorale prevista nel paese, peraltro rinviata fin dal 2009. Il 23 aprile è la data fissata ed il ministro dell'interno ha ordinato la creazione della commissione elettorale. Si tratta del ritorno dell'unica manifestazione democratica ammessa, ma di fatto abrogata con il prolungamento di due anni del mandato dei consigli fissato nel 2009. L'istituzione è recente nella storia del paese in quanto le prime elezioni sono state celebrate nel 2005. La consultazione elettorale non elegge il 100% dei componenti dei consigli municipali, ma soltanto la metà, in quanto la metà restante è di nomina reale. Con l'indizione delle elezioni ed il pacchetto di misure sociali varate dalla casa reale, che ammontano a 70.000 milioni di dollari, si cerca di ridare stabilità al paese e riportare l'ordine nel paese. L'Arabia Saudita è il più grande esportatore mondiale di greggio e la sua stabilità interna è considerata essenziale dai paesi industrializzati; un blocco o una riduzione della produzione di petrolio potrebbe bloccare più di una economia.

Il Consiglio nazionale libico ha nominato il suo leader

Il leader del Consiglio Nazionale Libico è stato nominato: si tratta di Mahmoud Jabril, nuovo capo del governo, che è stato incaricato di nominare i nuovi ministri. Il nuovo capo del governo provvisorio è un riformista, che non intende dividere lo stato libico, ma mantenere lo stato senza il dittatore. Mahmoud Jibril pare abbia già incontrato il presidente francese Sarkozy, che lo ha trattato da legittimo rappresentante del popolo libico. Jibril ha dichiarato che il Consiglio Nazionale provvisorio è un organo legislativo, ma la nuova Libia necessita anche di un esecutivo per controllare la situazione ed amministrare la parte liberata. Infatti il nuovo presidente ha come obiettivo di liberare la parte libica ancora occupata dalle truppe del rais. L'intendimento lascia così cadere le ipotesi a riguardo delle creazione di due stati, basati sulla divisione tribale, quello che si intende portare avanti è un progetto che mantenga integra la Libia con tutto il suo territorio e tutte le sue ricchezze. Sarà interessante vedere come sarà impostata la politica estera del nuovo esecutivo, anche se l'interlocutore privilegiato pare essere la Francia, che tanto si è spesa per la causa dei ribelli. Per quanto riguarda l'Italia, la tattica che si cerca di portare avanti è quella diplomatica, preferita a quella militare. Roma gioca su due campi diversi, ma gli agganci del governo italiano con il vecchio regime sono sicuramente superiori. Quello a cui punta l'Italia è una soluzione diplomatica che consenta un cessate il fuoco ed una exit strategy onorevole per Gheddafi, senza mandato di cattura internazionale ed un esilio soddisfacente. Se ci fosse un successo da questo lato la strategia francese potrebbe essere incrinata da una fine della guerra meno cruenta e l'influenza sul paese riverrebbe messa del tutto in discussione.

Energia atomica: un nuovo approccio per evitare i disastri

La recente catastrofe nucleare Giapponese impone una riflessione a livello mondiale non solo sull'impiego dell'energia atomica, ma sopratutto sull'impatto ambientale ed economico che genera. E' doveroso ridiscutere tutte le norme che regolano l'utilizzazione e gli standard di sicurezza a livello mondiale, ed è necessario che questi siano condiviso a livello universale. Non occorre essere antinuclearisti per chiedere maggiori tutele, le radiazioni viaggiano con gli elementi naturali ed anche stati senza centrali nucleari possono essere raggiunti da inquinamento atomico fuoriuscito. E' un problema che investe la diplomazia perchè va a toccare la sovranità stessa degli stati, ma questo concetto deve essere superato dal diritto internazionale stesso stravolgendo i principi fondativi della materia. E' una discussione che va affrontata prima possibile, anche essendo cinici, il solo costo economico, senza considerare quello umano, che un incidente come quello giapponese, o come quello di Chernobil, oltre ad essere enorme, si protrae nel tempo, generando costi aggiuntivi. Chi non mantiene standard di sicurezza adeguati deve essere sanzionato, fino alla chiusura della centrale. L'Agenzia per l'energia atomica deve essere dotata di strumenti ispettivi e sanzionatori che consentano una adeguata prevenzione dei guasti letali, non solo, deve intervenire anche in fase di progetto, per evitare scostamenti dagli standard di sicurezza. Si tratterebbe di un approccio rivoluzionario, tuttavia, il calcolo costi-benefici sarebbe a vantaggio di tutti: sia degli stati che optano per questa forma di energia, sia degli stati che non la vogliono. Una piccola rinuncia per il bene comune.

I nervi poco saldi di Israele

Il bombardamento israeliano sulla striscia di Gaza ha provocato almeno tre morti, di cui due giovani ragazzi palestinesi, la ritorsione è avvenuta dopo il lancio di alcuni razzi che non hanno fatto vittime, ne danni. Tel Aviv dimostra di avere nervi tutt'altro che saldi, in un momento molto delicato della storia araba. Israele non riesce ad uscire dalla propria visuale ristretta, al piccolo orticello di fronte la porta di casa. Certamente questo episodio verrà derubricato nell'ennesima rappresaglia e finirà nel dimenticatoio della cronaca attuale, affogato in vicende ora più importanti. Eppure è l'ennesimo segnale di una miopia preoccupante, che, con il cambio della situazione geopolitica in atto, potrebbe a portare sviluppi inquietanti. Il processo di pacificazione e di stabilizzazione dei paesi arabi sarà, presumibilmente, lungo e difficile, tuttavia dovrà giungere ad un punto in cui gli stati dovranno trovare un loro assetto, ancorchè normalizzato, in quel momento per Israele potrebbero cambiare molte cose: potrebbe non godere più dell'appoggio politico egiziano, potrebbe trovare paesi vicini come lo Yemen, dove la maggioranza scita potrebbe avere acquisito maggiore importanza. Insomma, un assetto politico della regione totalmente cambiato e non precisamente favorevole. Cambierebbe la vita stessa di tutto il popolo israeliano, destinato ad una vita di trincea permanente. L'unica via di uscita per una pace stabile per Tel Aviv è mantenere un profilo più basso possibile e ricercare ostinatamente ed il più velocemente possibile la pace con i palestinesi e sforzarsi al massimo affinchè lo stato palestinese veda la luce al più presto. Rispondere alle provocazioni con morti inutili non va certo in quella direzione.

martedì 22 marzo 2011

Dove va l'Occidente?

Cosa conviene e dove va l'Occidente in questo momento storico? Le domande non sono retoriche, occorre interrogarsi sulle reali esigenze e possibilità che il cosidetto mondo ricco ha verso il futuro. Le rivolte arabe sono un buon banco di prova, che danno il polso della situazione, e non forniscono esempi incoraggianti. I nuovi assetti del mondo non permettono i vecchi atteggiamenti di finta disponibilità, ma richiedono una assunzione di responsabilità costante e partecipata. Si tratta di vedere il mondo non più a due, tre o quattro velocità, ma con un movimento sincrono che contempli tutte le variabili. Non sono parole vuote, la necessità di una visione che si omogeneizzi al resto del mondo pone l'Occidente in ritardo rispetto al resto del mondo. Non sono gli altri che si devono portare al nostro livello, siamo noi a doverci adeguare. La nuova redistribuzione delle ricchezze, la nuova circolazione delle idee e delle informazioni, sempre più in tempo reale, impone un atteggiamento diverso prima di tutto verso noi stessi. Non è più ammissibile ragionare sulla base esclusiva della singola territorialità e del piccolo interesse, il mondo tende sempre di più verso una comunità universale. E' vero che ci sono ancora grossi privilegi, ma se si pensa a soli vent'anni addietro, l'asticella si è di molto abbassata. Il terremoto imposto dall'affermazione dell'economia cinese, ha ribaltato situazioni, rispetto alle nazioni, ferme da secoli, e nel mentre si sono verificati fatti nuovi e decisivi come l'affrancamento delle nazioni africane. La necessità di democrazia è cresciuta perchè è cresciuta la consapevolezza dei popoli; il compito dei paesi con democrazia matura deve dare l'impulso ai popoli in cammino, ma non deve essere un neocolonialismo mascherato, con altre finalità. E' anche interesse dell'occidente che il livello di ricchezza cresca di pari passo con il livello di democrazia, infatti, in questa ottica la Cina rappresenta un pericolo, perchè i diritti fondamentali non sono tutelati. Conviene di più avere a che fare con democrazie rispetto a dittature, anche perchè il mercato globale deve avere regole, almeno, minime uguali. In questo momento la bilancia è ancora a favore dell'occidente, ma devono essere pensate strategie che pareggino le braccia, in maniera sufficientemente armonizzata. Soltanto l'incontro tra le comunità e gli stati ed il confronto continuo per migliorare l'approccio globale del movimento comune possono dare risultati. Con un riequlibrio di risorse, non solo materiali ma anche di idee l'occidente si può riappacificare con il mondo, abbracciando anche nuove filosofie con cui rapportarsi all'economia, attuare strategie anche di decrescita che consentano un maggiore equilibrio di ripartizione delle risorse e permettano finalmente l'uscita dal tunnel della storia.

La Libia spacca le diplomazie

La guerra libica rischia di fare, oltre purtroppo ai civili, una vittima illustre: la diplomazia. Dopo la morte dell'asse Berlino-Parigi, l'epidemia pare allargarsi in maniera contagiosa, andando a colpire rapporti che parevano consolidati e mettendo in pericolo sviluppi futuri. La situazione è di totale confusione, tutti accusano tutti e molti vogliono, od hanno già fatto, fare un passo indietro. E' il caso della Norvegia, che ha già ritirato i suoi aerei proprio per la mancanza di chiarezza sulla catena di comando. Gli USA, condizionati da una opinione pubblica ostile e gravati da altri problemi, hanno già annunciato che faranno retromarcia in sostanza perchè la guerra non si risolverà in modo rapido. L'Italia senza ombrello della NATO, minaccia di rifutare l'uso delle sua basi, fondamentali per la logistica dell'operazione; ma nella NATO, Germania, Polonia e sopratutto Turchia sono contrarie all'operazione e senza la decisione unanime del consiglio l'Alleanza Atlantica non può entrare in azione, non essendo i ribelli di Gheddafi stato membro, condizione che farebbe scattare automaticamente il coinvolgimento nelle operazioni militari. La via più probabile pare un comando franco-inglese, ma se così sarà le defezioni saranno molte. In generale quello che non piace è stato l'eccessivo decisionismo francese, che ha scavalcato ogni forma di collegialità e di intesa andando a spaccare un già incrinato insieme diplomatico. Aldilà delle ragioni umanitarie condivisibili, la mossa di Sarkozy ha il sapore di vecchio colonialismo, è pur vero, che l'intervento militare si era ormai reso necessario per la piega presa dagli eventi, ma la Francia non ha insistito nella via diplomatica, prima, ed ha esagerato, dopo, nell'accentrare su se stessa, di fatto, il comando sia militare che politico delle operazioni. Inoltre sul piano mondiale la Russia e la Cina sono sempre più contrarie all'opzione militare ed i dubbi della Lega Araba non fanno che aumentare le perplessità. La Francia sta rischiando grosso ed alla fine potrebbe essere quella a pagare di più sulpiano diplomatico, se i tempi della guerra non saranno brevi.

La Libia spacca le diplomazie

La guerra libica rischia di fare, oltre purtroppo ai civili, una vittima illustre: la diplomazia. Dopo la morte dell'asse Berlino-Parigi, l'epidemia pare allargarsi in maniera contagiosa, andando a colpire rapporti che parevano consolidati e mettendo in pericolo sviluppi futuri. La situazione è di totale confusione, tutti accusano tutti e molti vogliono, od hanno già fatto, fare un passo indietro. E' il caso della Norvegia, che ha già ritirato i suoi aerei proprio per la mancanza di chiarezza sulla catena di comando. Gli USA, condizionati da una opinione pubblica ostile e gravati da altri problemi, hanno già annunciato che faranno retromarcia in sostanza perchè la guerra non si risolverà in modo rapido. L'Italia senza ombrello della NATO, minaccia di rifutare l'uso delle sua basi, fondamentali per la logistica dell'operazione; ma nella NATO, Germania, Polonia e sopratutto Turchia sono contrarie all'operazione e senza la decisione unanime del consiglio l'Alleanza Atlantica non può entrare in azione, non essendo i ribelli di Gheddafi stato membro, condizione che farebbe scattare automaticamente il coinvolgimento nelle operazioni militari. La via più probabile pare un comando franco-inglese, ma se così sarà le defezioni saranno molte. In generale quello che non piace è stato l'eccessivo decisionismo francese, che ha scavalcato ogni forma di collegialità e di intesa andando a spaccare un già incrinato insieme diplomatico. Aldilà delle ragioni umanitarie condivisibili, la mossa di Sarkozy ha il sapore di vecchio colonialismo, è pur vero, che l'intervento militare si era ormai reso necessario per la piega presa dagli eventi, ma la Francia non ha insistito nella via diplomatica, prima, ed ha esagerato, dopo, nell'accentrare su se stessa, di fatto, il comando sia militare che politico delle operazioni. Inoltre sul piano mondiale la Russia e la Cina sono sempre più contrarie all'opzione militare ed i dubbi della Lega Araba non fanno che aumentare le perplessità. La Francia sta rischiando grosso ed alla fine potrebbe essere quella a pagare di più sulpiano diplomatico, se i tempi della guerra non saranno brevi.