Le sens principal de l'accord, qui formalise une situation déjà existante mais non officielle, entre Israël et les Émirats arabes unis, est d'anticiper la possible défaite de Trump et d'empêcher un nouvel accord nucléaire iranien, qui pourrait faire partie des plans de Biden dans le rôle du nouveau président des États-Unis. La sécurité nationale israélienne vaut bien plus que l'expansion en Cisjordanie, qui n'est que temporairement suspendue. L'intérêt de préparer un éventuel retour de l'Iran sur la scène diplomatique est partagé avec les États sunnites du Golfe depuis un certain temps, mais un accord officiel représente une nouveauté importante. Premièrement, parce qu'il ne représente probablement qu'un premier épisode auquel d'autres suivront: en fait, il y a de grandes possibilités que Tel-Aviv entre également en relations diplomatiques avec Oman et Bahreïn, où se trouve le siège de la cinquième flotte américaine; les deux pays ont félicité les Emirats Arabes Unis pour l'accord qui représente un renforcement de la stabilité régionale. Netanyahu lui-même a défini l'alliance informelle qui devient officielle entre Israël et les monarchies du Golfe comme le cercle de paix de la région. En fait, la surprise de ces accords n'est pas justifiée car ils représentent l'évolution naturelle des relations qui se sont établies et développées avec le dénominateur commun de la création d'une alliance anti-iranienne. Pour le moment, Téhéran souffre des sanctions américaines et est également en difficulté à cause de la question libanaise, qui voit le Hezbollah, son principal allié, en forte baisse même parmi les chiites du Liban. Un changement au sommet de la Maison Blanche pourrait améliorer la condition iranienne, même s'il n'est pas tenu pour acquis, avec une direction différente de la politique étrangère américaine: ce scénario oblige Israël et les États du Golfe à formaliser leurs relations respectives pour faciliter la vitesse et coordination de toutes les réponses diplomatiques qui pourraient devenir nécessaires. Apparemment, les plus grands désavantages, du moins dans l’avenir immédiat, seraient les Palestiniens qui voient l’hostilité du monde arabe contre les Israéliens officiellement brisée; en réalité, Tel-Aviv a déjà des accords avec l'Egypte et la Jordanie et depuis quelque temps les dirigeants sunnites du Golfe n'ont fait que maintenir une attitude de façade envers la question palestinienne, en faveur d'une conduite plus pragmatique et fonctionnelle à leurs intérêts les plus immédiats et directs. . Une autre cible des accords, en plus de l'Iran susmentionné, serait également la Turquie, qui se propose comme une alternative sunnite aux monarchies du Golfe, pour guider politiquement les fidèles islamiques sunnites. Ce n'est pas un mystère qu'Erdogan tente depuis un certain temps d'étendre l'influence turque, essayant de reproduire l'expérience de l'Empire ottoman dans une version moderne. Ankara, en effet, n'a pas bien accueilli la nouvelle de l'accord, mais sa réaction, basée sur la trahison de la cause palestinienne, révèle son hypocrisie et les quelques arguments disponibles; La Turquie, autrefois proche d'Israël, voit s'accroître le poids politique des diplomaties du Golfe capables de mettre le pays israélien à ses côtés, certainement pour un avantage commun. Mais en interne aux protagonistes de cet accord, tout n'est pas sans problèmes: du côté arabe, le protagonisme du prince des Emirats arabes unis signale la croissance d'un nouveau protagoniste politique par rapport à la position du prince héritier d'Arabie saoudite, compromis dans divers événements préjudiciables au prestige, mais ce contraste pourrait compliquer les liens avec Israël de tous les pays du Golfe, même s'il est plus probable que des intérêts géopolitiques communs prévaudront. Du côté israélien, outre les problèmes avec les Palestiniens, l'opposition des colons et des partis qui les soutiennent doit être enregistrée pour avoir interrompu le processus d'annexion des colonies, le seul programme électoral qui a permis à Netanyahu sa longévité politique, malgré les différents problèmes judiciaires. Cependant, les partis de droite qui soutiennent les colons semblent devenir plus marginaux dans l'intérêt de la sécurité nationale et le revirement apparent du président israélien semble être un autre mouvement d'une grande expérience politique.
Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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martedì 18 agosto 2020
Les implications de l'accord entre Israël et les Émirats arabes unis
As implicações do acordo entre Israel e os Emirados Árabes Unidos
Последствия соглашения между Израилем и Объединенными Арабскими Эмиратами
以色列與阿拉伯聯合酋長國之間協定的含義
イスラエルとアラブ首長国連邦の間の合意の意味
تداعيات الاتفاقية بين إسرائيل والإمارات
venerdì 7 agosto 2020
La pandemia blocca l'istruzione nel mondo
Il segretario generale delle Nazioni Unite ha lanciato un allarme circa la situazione della scuola; si tratta di un allarma e livello mondiale causato dalla chiusura degli istituti scolastici ed università, che riguarda oltre 160 nazioni mondiali, pari ad un miliardo di studenti, di cui più di 40 milioni di bambini. La mancata possibilità della frequenza scolastica, soprattutto nelle fasce di età che riguardano le scuole dell’infanzia, delle elementari e delle scuole medie, significa un deficit che va da quello dell’apprendimento a quello della socialità e della capacità di stare insieme, che sarà potenzialmente capace di creare grandi deficit relazionali negli adulti di domani. Un ulteriore aspetto è legato alla scuola come strumento sociale anche di ammortizzatore nei confronti delle famiglie che non possono contare su di un aiuto nella custodia dei figli. Questa mancanza rischia di provocare la perdita di entrate economiche, se un genitore deve abbandonare il lavoro. Le soluzioni di emergenza con la didattica a distanza hanno evidenziato che questa scelta ha solo parzialmente riempito le lacune provocate dall’insegnamento diretto, sia per la poca preparazione dei docenti a questa soluzione improvvisa, sia per le difficoltà tecnologiche ed anche per la diseguale distribuzione degli strumenti informatici nelle famiglie. Tuttavia l’invito del segretario delle Nazioni Unite ad una riapertura degli istituti scolastici, compatibilmente con il controllo della possibile trasmissione del virus, pone delle domande sulla opportunità di questa scelta senza una adeguata sicurezza circa il controllo della diffusione del virus e delle sue cure. Il pericolo di una maggiore diffusione del contagio o di un ritorno dello stesso nei paesi dove i numeri della pandemia sono calati, secondo alcuni virologi, sembrerebbe proprio legato alle fasce più giovani della popolazione, che potrebbero agire come veicolo preferenziale del virus. Se non vi è certezza assoluta di queste ipotesi, non vi è nemmeno la sicurezza contraria. La scelta, al momento, sembra limitarsi esclusivamente su limitare gli effetti immediati della pandemia con il prezzo da pagare in termini di mancata istruzione ed anche di perdita di socializzazione della popolazione più giovane. Si tratta di un dilemma terribile, che investe l’economia nel breve e nel lunghissimo periodo, una scelta che non può essere tutta da una parte piuttosto che dall’altra. Le soluzioni che devono essere trovate devono essere per forza delle mediazioni, capaci anche di trovare soluzioni immediate che potrebbero anche non essere più valide nello stesso breve periodo. Quello che manca per stabilizzare la situazione, ma non solo per quanto riguarda l’istruzione, è avere un metodo di esame sicuro ed a prezzo accessibile, una cura certa ed un vaccino senza controindicazioni, che possa essere diffuso a livello mondiale, quindi con un costo minimo. Al momento queste tre condizioni non sembrano essere vicine, quindi occorre sforzarsi per trovare soluzioni temporanee. D’altra parte i pericoli denunciati dalle Nazioni Unite sono senz’altro veri e certi: una crisi educativa avrebbe il risultato di aumentare le diseguaglianze sia tra stati ricchi con quelli poveri, sia all’interno delle stesse nazioni progredite, con gli studenti appartenenti ai ceti alti certamente favoriti rispetto a quelli dei ceti medi e poveri. Soltanto soluzioni temporanee, ma chissà per quanto, elaborate dai governi locali o sovranazionali, quando questi hanno la possibilità di fornire indirizzi politici, possono creare dei presupposti, comunque temporanei e mai definitivi, perché la didattica in classe non è sostituibile, per limitare i danni dell’attuale situazione. I rimedi sono già stati usati, anche se in modo limitato, l’incremento della didattica a distanza, che deve però essere intervallato da periodi ritorni in classe (con tutte le precauzioni possibili) necessita di contributi per l’acquisto di apparecchiature informatiche per le famiglie (ostacolo non difficile da superare, grazie al costo sempre minore delle apparecchiature informatiche), ma soprattutto con la maggiore diffusione delle reti di trasporto informatiche, sia nella diffusione della fibra ottica, che nell’accelerazione del servizio 5G. Quello che la pandemia ha evidenziato è stata l’impreparazione, a livello generale ma soprattutto dei paesi poveri circa il ritardo delle infrastrutture di comunicazione, sempre più essenziali allo sviluppo sociale ed economico, inteso come fattore capace di limitare gli effetti dell’isolamento sull’istruzione ma anche come moltiplicatore della capacità produttiva.