Politica Internazionale

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venerdì 25 febbraio 2011

L’autoassoluzione diplomatica e la necessita’ di un intervento in Libia

Una dichiarazione del ministro della difesa francese Alain Juppe’ e’ significativa nell’aria autoassolutoria che si respira nelle cancellerie europee ed occidentali. Juppe’ dopo essersi augurato, cosi da salvare la faccia e salire sul carro della convenienza, che Gheddafi viva gli ultimi momenti da capo di stato, d’altronde siamo nel paese di Monsieur La Palisse, ha poi dichiarato testualmente: “Quale e’ il paese europeo che ha preso sulla Tunisia, l’Egitto, la Libia delle posizioni anticipatrici particolarmente illuminate? Nessuno. E nemmeno gli Stati Uniti”. Tutti colpevoli, nessun colpevole. D’altra parte la dichiarazione di Juppe’ rappresenta una verita’ sacrosanta: in nome della realpolitik nessuno ha mai osato dire quella che appariva l’evidenza dei fatti. Ma se si puo’ comprendere il prima, proprio in onore della convenienza politica ed economica, non si comprende questo atteggiamento autoassolutorio che non contribuisce allo sviluppo di un nuovo atteggiamento necessario per impostare ed affrontare una fase politico internazionale nuova. Si e’ presa la frase del ministro francese perche’ e’ emblematica, ma anche dalle altre cancellerie il silenzio o le frasi di circostanza confermano questo sentimento comune. Quello che manca e’ uno scarto di direzione che permetta di smarcarsi da un attendismo dannoso, la politica ed i propositi politici iniziano sempre dalle dichiarazioni di intenti, ora e’ necessario un mea culpa della diplomazia in generale, ripartire per essere credibili dall’ammissione delle proprie visioni errate dalla cancellazione di quel cerchiobottismo, che, si ha dato risultati nell’immediato, ma che nel lungo periodo ha, di fatto, fallito. L’occidente ha grosse colpe per quel che sta succedendo in Libia, ed e’ vero anche che gli Stati Uniti nel momento che potevano annientare il regime di Gheddafi si sono fermati, considerandolo il male minore. Adesso la situazione ha preso una via che se non verra’ arrestata con un intervento materiale provochera’ conseguenze difficili da immaginare. Con quale popolo rabbioso dovranno avere a che fare i governanti occidentali, se non verra’ dato ai libici in rivolta un sostegno militare e medico come segno tangibile di parziale riparazione per il via libera alla dittatura di Gheddafi? Si studino in fretta tempi e metodi e si agisca mettendo fine al piu’ presto a questo orribile massacro.

giovedì 24 febbraio 2011

Per la UE svolta epocale

Nonostante i ritardi dell'analisi della situazione e la confusione iniziale non colmata dalle dichiarazioni di rito, finalmente l'Unione Europea pensa al dramma libico con due opzioni di intervento. I due scenari prospettati contemplano due diversi livelli di sviluppo della crisi: il primo prevede la sola necessità di invio di mezzi di soccorso e si prefigura sostanzialmente come intervento umanitario, con precedenza agli europei da portare in salvo con mezzi navali o aerei; si tratterebbe di creare un corridoio umanitario da garantire come zona franca dagli scontri, che consentirebbe presumibilmente la creazione di ospedali da campo e campi profughi così da assicurare almeno una prima assistenza anche di tipo alimentare. La seconda opzione prefigura uno scenario di guerra civile protratta, che non lascia presagire ne sul come, ne sul quando, la soluzione del conflitto. In questo, malaugurato, caso la UE pare decisa ad inviare, oltre ai mezzi di soccorso, anche una forza armata sotto la bandiera europea, che funzioni da dissuasione per gli scontri armati. Per la UE sarebbe un salto di qualità notevole, per la prima volta deciderebbe e programmerebbe un intervento di una propria forza armata di interposizione e sarebbe da sola a gestire il problema. Un atto da grande potenza che finora è mancato. Certo la crisi è sulla porta di casa ed è vitale scongiurare possibili derive o soluzioni che non contemplino altro che una transizione democratica. Ma è ancora necessario sottolineare la portata della decisione, la UE decide di darsi una autocoscenza di potenza mondiale, con un'autonomia decisionale finora mancata e maturata al di sopra delle decisioni nazionali, spesso contrastanti, si muove finalmente come un tutt'uno sia dal punto di vista politico che diplomatico che militare. E' una svolta, che seppur maturata in una situazione tragica e tremenda, potrebbe segnare la storia dell'Unione Europea.

Israele bombarda la striscia di Gaza e commette un autogol diplomatico

Israele ha lanciato il più grosso bombardamento della striscia di Gaza dopo la guerra combattuta alla fine del 2008 ed all'inizio del 2009, ch eprovocò più di 1400 morti in appena tre settimane. L'azione militare è stata eseguita come rappresaglia al lancio di un missile contro la città di Beersheva, capitale del deserto del Negev. Il razzo non ha fatto feriti ed è stato lanciato dopo violenti incidenti tra palestinesi e soldati israeliani avvenuti nella striscia di Gaza. Tel Aviv ha dunque deciso di rispondere con una azione molto violenta in un momento storico alquanto inopportuno, con le rivolte arabe in corso, dove la componente integralista è generalmente minoritaria, ma resta comunque una presenza importante all'interno dei moti di piazza. Israele invece di mantenere un basso profilo sceglie la via della forza per intimidire gli avversari e forse anche per avvertire chi pensa di attaccarlo di avere intenzioni e mezzi adeguati per rispondere. E' una tattica propria di un politico come Netanyahu che predilige mostrare i muscoli anzichè passare per la via diplomatica. Il bombardamento segnala uno stato di inquietudine e di nervosismo presente nel paese della stella di Davis, che nemmeno le rassicurazioni statunitensi sono bastate a placare. La situazione incerta dell'Egitto, che garantiva l'applicazione degli accordi di Camp David in senso integrale e senza tentennamenti, lo stato di agitazione nei paesi arabi, la presenza delle navi da guerra iraniane hanno, di fatto innalzato il livello di attenzione ed il termometro della tensione israeliana, tuttavia effettuare un'operazione bellica così eclatante mette Israele in una luce del tutto negativa, anche cercando di isolare dal contesto generale il bombardamento, è impossibile non interpretarlo come avvertimento preventivo. La politica estera israeliana, specialmente alla luce dei nuovi accadimenti, andrebbe rivista, in questo momento sarebbe opportuno concedere qualcosa di tangibile ai palestinesi anzichè bombardarli, non sembra il momento giusto per esasperare gli animi, ma cogliere l'opportunità delle rivolte per cercare di accreditarsi sotto una diversa ottica alle nascenti democrazie.

L'Unione Europea ed il suo possibile ruolo futuro

Se le cose andranno come si spera, cioè fine della dittature e costa sud del Mediterraneo con nuove democrazie sul panorama internazionale, l'Europa dovrà pensare e mettere in atto una nuova strategia per coinvolgere, ed eventualmente fare da garante, i paesi arabi nella sfera occidentale. La questione non è prematura, anche se le rivoluzioni sono lungi dall'essere risolte, per sfilare al fondamentalismo islamico le nuove democrazie occorre inserirle, con un processo graduale che consenta loro di entrare a pieno titolo nel mondo occidentale. L'Europa deve prepararsi ad un ripensamento radicale delle proprie posizioni sull'Islam, continuare a tenere alzato il ponte levatoio dei valori cristiani come barriera sta diventando obsoleto dal corso della storia. Non solo le nuove democrazie arabe devono essere coinvolte nel processo, ma anche per la Turchia si deve ricominciare da capo il percorso di entrata nell'Unione Europea. Una Europa unita che ricomprenda praticamente tutto il bacino del Mediterraneo è una occasione unica per rendere l'Unione Europea più forte sia dal punto di vista politico che economico. I benefici per le nuove democrazie e per la pace del mondo sarebbero incommensurabili. La compentenza delle istituzioni europee potrebbe accompagnare popoli non abituati alle consuetudini ed ai sistemi democratici a meglio comprendere il valore di legislazioni che al centro hanno la tutela dei diritti civili ed ha sviluppare una propria coscenza in base al diritto. In un quadro simile la tolleranza religiosa ed il rispetto delle idee potrebbero dare una grossa mano contro il fondamentalismo ed il terrorismo, favorire un dialogo interreligioso ed interculturale sarebbe meno ostico in un ambiente con analoghi strumenti legislativi e sotto le istituzioni ed gli organismi comunitari della bandiera blu con le stelle. Anche dal punto di vista economico un scambio tra risorse e conoscenze consentirebbe una razionalizzazione degli sforzi ed una nuova e più equa redistribuzione della ricchezza. In questo modo si ridurrebbero le migrazioni dei popoli, perlomeno costieri, e si avrebbe una migliore gestione degli altri migranti. Non è fantascienza, ne fantapolitica, ma immaginare una soluzione tale porrebbe l'Unione Europea al centro di un processo senza precedenti con benefici sull'intero pianeta.

mercoledì 23 febbraio 2011

Il fattore della simultaneità nelle rivolte arabe

Si sono accostate le rivolte arabe alla caduta della cortina di ferro, ed in effetti, le analogie sono diverse; anche se i paesi del patto di Varsavia erano un blocco unito ed in forza di questa unione si capisce meglio la caduta all'unisono di quel mondo. Diversi i casi del nord africa e degli altri paesi arabi, uniti solo dal fattore religioso, in senso lato, ma poi diversissimi, sia dal punto di vista socio-culturale che economico. La riflessione viene spontaneacirca i fattori scatenanti che hanno provocato la quasi simultanea rivolta dei paesi arabi. E' innegabile che la mancanza di diritti civili e politici, in una situazione contingente di crisi mondiale, che ha determinato l'aumento della povertà, sono stati fattori scatenantiper le crisi in atto, quello che non è chiaro è la tempistica praticamente contemporanea dello scoppio delle stesse. Non può saltare agli occhi questo dettaglio: perchè ora? E se la simultaneità non è casuale esiste un soggetto che ha elaborato un progetto per quello che sta accadendo? Se le rivoluzioni andranno in una certa direzione il mondo avrà qualche dittatore in meno in zone chiave del pianeta, zone chiave dal punto di vista politico ed economico e questo è un dato di fatto. Resta da vedere come saranno riempiti questi vuoti di potere, il pericolo per la sicurezza del mondo è che non si inseriscano movimenti integralisti, un rischio non da poco, anche se, per ora, la parte religiosa delle rivolte pare predominante nella sola Cirenaica, negli altri stati la componente religiosa è solo una parte dei movimenti che partecipano alle rivolte. Quindi si può ipotizzare, con tutti i limiti del caso, che si sta andando verso forme di stato democratiche, anche se pare francamente precipitoso paragonarle alle forme mature dell'occidente; infatti spesso i garanti dell'ordine ristabilito sono i militari. Questo quadro, che potrebbe delinearsi, potrebbe convenire a chi teme che dittature ormai traballanti, vengano sostituite in toto da regimi integralisti e vede quindi con favore l'appoggio delle forze armate. Anche dal punto di vista economico è preferibile avere da trattare con governanti che garantiscano la stabilità con il consenso anzichè con il pugno di ferro. Sulla tempistica si dovrebbe pensare all'evoluzione delle situazioni mondiali, dove il pericolo nucleare iraniano e l'azione politica del regime teocratico pare avere schiacciato sull'acceleratore dell'accerchiamento di Israele e delle minacce all'occidente, inoltre in altre parti del mondo la minaccia integralista, Al Qaeda e Talebani in primis, restano un pericolo costante. La direzione dei paesi arabi in rivolta verso la democrazia toglie terreno sotto ai piedi ai movimenti islamici integralisti e va verso il possibile coinvolgimento di questi paesi nella sfera di influenza occidentale. Se la storia prenderà questa direzione i tempi non saranno comunque brevi, si stravolgeranno interi modi di vita e di pensiero e l'adattamento non sarà facile, ma si saranno sottratte intere nazioni alla dittatura ed al pericolo per l'occidente.

Cirenaica: uno stato islamico che può nascere dalla Libia

Dalla possibile dissoluzione della stato libico potrebbe nascere una nazione islamica: l'Emirato islamico di Libia orientale. Il territorio del nuovo stato andrebbe a coincidere con la zona della Cirenaica storica, con capitale Bengasi. Il problema della Cirenaica è sempre stata una costante nella storia libica, i suoi abitanti hanno sempre reclamato l'indipendenza, non solo da Gheddafi, ma anche, prima dal Re libico antecedente al dittatore, agli inglesi che l'amministravano come protettorato ed agli italiani che vi avevano imposto il regime coloniale. A Gheddafi hanno sempre rinfacciato la diseguale ripartizione della ricchezza petrolifera a favore delle altre regioni libiche ed hanno inseguito a lungo la soluzione federale come ripiego in grado di garantire almeno qualche forma di indipendenza. Da Bengasi, capitale della Cirenaica, è partita la rivolta che si è allargata a macchia d'olio nella Libia, ma che in Cirenaica ha il grosso del seguito, per le milizie di Gheddafi è stato da subito diffcile mantenere il controllo. Gli antichi rancori e la vicinanza con l'Egitto sono stati i propulsori delle manifestazioni di piazza, cui però ha contribuito in maniera rilevante la massiccia religiosità degli abitanti, tra cui molti integralisti. Nonostante le repressioni degli anni precedenti, autentici bagni di sangue, i fratelli musulmani non sono stati mai completamente sradicati, in questo probabilmente favoriti dal confine con l'Egitto che corre lungo il lato orientale cirenaico; ma ben più importante è il ruolo del Fronte Islamico combattente, già individuato in passato dal figlio del Rais, Seif Gheddafi, come nemico del regime, che nella primavera scorsa aveva tentato, invano, di coinvolgere in una sorta di accordo con lo stato libico. Il livello di penetrazione tra la popolazione cirenaica di questo movimento è elevato ed è quindi da ritenere come uno dei maggiori responsabili della rivolta. Per l'occidente la creazione di uno stato integralista praticamente ai suoi confini è motivo di allarme, il livello di tensione delle cancellerie aumenta, se è possibile, proprio in vista del concretizzarsi di questa eventualità. Eventualità cui l'occidente non attendeva e a cui non si è mai preparato, ma che rappresenterà, se dovesse verificarsi, una grossa novità nelle relazioni tra stati all'interno del bacino del Mediterraneo.

Le remore europee nella condanna di Gheddafi ed il mercato degli armamenti

Un rapporto dell'Istituto di Investigazione per la Pace di Stoccolma (SIPRI), spiega bene le remore e la lentezza dell'Europa nella condanna di Gheddafi. Esiste, o meglio è esistito, un fiorente rapporto commerciale di armi ed armamenti, dalle armi convenzionali ai dispositivi più avanzati, tra diversi paesi UE e la Libia. Quello delle armi con le dittature è un grosso punto nero della politica comunitaria che non è stata in grado di fare cessare le forniture verso quelle nazioni governate da regimi antidemocratici; l'attività lobbistica dei produttori di armamenti parte dalla pressione presso i governi nazionali ed arriva fino a Bruxelles con un'azione continua ed incessante. E' in gioco un vortice di denaro consistente, ed anche le relazioni diplomatiche risentono dei rapporti tra gli stati, anche sulla base di questi commerci. La questione non è nuova, ma l'attualità la riporta alla ribalta, denunciando una situazione che nell'Unione Europea, portatrice di valori democratici e civili, non dovrebbe esistere. L'occasione di riformare il commercio delle armi, che è un'industria patrimonio di diverse nazioni e che occupa diversi posti di lavoro, dal centro dell'Europa è fatto da non lasciarsi sfuggire. Non fornire più armi a regimi dittatoriali e che non garantiscono il rispetto dei diritti umani dovrebbe essere un obbligo, come un obbligo si impone la sua regolamentazione per evitare anche conseguenze più gravi, derivate dai rapporti che spesso si sviluppano tra dittature e terrorismo internazionale. E' chiaro che perdere il mercato delle dittature significa tagliare una parte consistente del fatturato degli armamenti, ma inserirlo in un quadro comunitario può ridurre questa perdita e generare insieme benefici indotti per la politica in generale.