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mercoledì 21 dicembre 2011

In Cina cresce la tensione sociale

La Cina deve affrontare sempre di più i problemi sociali tipici di un'economia capitalista che rappresentano in modo sempre crescente uno dei maggiori fattori di rallentamento della crescita economica del dragone cinese. Il mondo del lavoro cinese è attanagliato dal crescente numero di cause legali di lavoro riguardanti salari non pagati e licenziamenti, che riguardano sopratutto società estere con impianti in Cina. La politica generalizzata è di risolvere questi contrasti con aumenti di salario, che vanno, però, ad indebolire il principale punto di forza dell'economia cinese e di attrattiva per le imprese straniere: il basso costo del lavoro. Il fenomeno si sta estendendo così rapidamente da essere individuato come una delle cause del rallentamento stesso dell'economia di Pechino. In realtà rivela, invece, la miopia del legislatore e degli economisti cinesi, incapaci di prevedere prima e mettere riparo poi ad una situazione inevitabile dell'economia di mercato fortemente liberalizzata come è quella scelta, paradossalmente ma neanche poi tanto, dal comunismo cinese. Uno degli effetti accessori di questa mancanza è anche l'alto tasso di sciopero, non presente sulle statistiche ufficiali, con cui l'industria cinese si deve sempre più confrontare. Si tratta, per la maggior parte di astensioni dal lavoro provocate, non di ragioni riguardanti i diritti del lavoro ma proprio per ritardi sempre maggiori verificati nel pagamento degli stipendi. Un aspetto peculiare è l'organizzazione spontanea degli scioperi, che non vengono indetti dai sindacati ufficiali, ma autonomamente dai lavoratori. Questo elemento segnala un sempre maggiore distacco dei lavoratori dalle strutture ufficiali di rappresentanza, sentite ormai lontane dai reali interessi della classe lavoratrice. Ma oltre il problema della situazione industriale esiste anche la precaria situazione dei territori più interni della Cina alle prese con la questione dell'espropriazione sempre più massiccia dei terreni agricoli, che ha causato vere e proprie rivolte da parte del ceto agrario ancora stanziale che non ha, quindi, intrapreso le grandi migrazioni verso i grandi centri industriali per essere riconvertito in manodopera a buon mercato, più volte incoraggiate dal potere centrale e che si vede spogliato della propria fonte di reddito, che già rasenta l'insufficienza. Ma la situazione sociale cinese è sempre alle prese con il problema della corruzione, che genera profonda diseguaglianza sociale ed è il principale motivo di instabilità della società cinese. Nonostante questo sia un male comune con paesi dove il tasso di democrazia e di garanzia dei diritti sia ben maggiore, in Cina il fenomeno assume proporzioni enormi, sia per l'apertura sempre più larga della forbice tra poveri e ricchi, sia per l'incidenza che riversa sulla stessa struttura sociale che si sta costruendo nella nazione cinese in corrispondenza della sempre maggiore industrializzazione e terziarizzazione del paese. Il limite dell'azione di contrasto dei governanti cinesi su questo aspetto è che si basa su azioni prevalentemente repressive, tralasciando forme che prediligano invece la prevenzione e favoriscano così anche un maggiore dialogo con le istituzioni, sempre più viste come elemento invasivo della società cinese. Nonostante tutti questi segnali l'atteggiamento del Partito Comunista e dei suoi burocrati, quindi dello stato, non sembra cambiare. La mancanza di aperture verso riforme strutturali per la società cinese, rischia di essere il vero freno della locomotiva cinese, fin qui condotta con un mix di durezza ed aumenti della liquidità per favorire il consumismo che deve addormentare le masse sui temi cruciali della democrazia. Ma alla lunga le merci colmeranno le case dei cinesi, di tutti i cinesi e non basterà più incoraggiare il consumismo per sopire istanze che si stanno manifestando sempre più frequentemente come patologia di un sistema troppo squilibrato verso il centro politico ed assoluto.

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