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mercoledì 2 maggio 2012

La società israeliana è divisa sul possible conflitto con l'Iran

In Israele si ampia il divario tra il governo e chi non è favorevole ad un attacco militare all'Iran. Sono, infatti sempre maggiori ed autorevoli le voci che si levano con preoccupazione contro la possibilità di un intervento armato contro Teheran. Uno dei primi a dichiararsi contrario all'ipotesi militare è stato proprio il Capo dello stato maggiore dell'esercito, Benny Gantz, che non vede un pericolo imminente da parte dell'Iran, a questa presa di posizione ha fatto seguito quella dell'ex capo dei servizi segreti, Yuval Diskin, che interpreta la determinazione di Netanyahu come una sensazione non supportata da elementi abbastanza convincenti da trascinare il paese in una guerra che potrebbe essere solitaria. Anche Ehud Olmert, ex primo ministro israeliano, vede l'opzione militare soltanto come soluzione estrema, in ogni caso da percorrere non in maniera solitaria, ma con l'appoggio degli USA e di concerto con la comunità internazionale, inoltre nella stessa occasione Olmert ha espressamente dichiarato di essere fortemente dubbioso circa una conclusione di un accordo con i palestinesi da parte del premier in carica. Se la situazione pare comunque non evolversi, con l'Iran che conferma le sue intenzioni pacifiche rispetto allo sviluppo della tecnologia nucleare e gli USA continuano i loro sforzi diplomatici sempre accompagnati dalle sanzioni, sottoscritte anche dall'Europa, nel governo israeliano cresce la convinzione che l'obiettivo finale per Teheran è quello di usare le bombe nucleari contro lo stato ebraico per distruggerlo. Per dare ancora maggiore risalto ai convincimenti dell'esecutivo di Tel Aviv, Netanyahu ha usato la platea della commemorazione della giornata dell'olocausto, dando particolare enfasi alla minaccia iraniana e paragonando lo stato degli ayatollah alla Germania nazista. Sono argomenti retorici che sarebbero da maneggiare con cura e che il capo del governo usa deliberatamente, sapendo quanto colpiscono l'opinione pubblica israeliana. Ma la tattica di Netanyahu, non è mai stata quella di gettare acqua sul fuoco, in nessun frangente, infatti i recenti sondaggi elaborati nel paese danno in rialzo la popolarità del premier ed uno dei motivi sembra proprio essere il sentimento di paura nella popolazione nei confronti di un possibile attacco nucleare iraniano e della necessità di prevenirlo, che viene continuamente alimentato dagli apparati di governo. Negli analisti cresce la sensazione che questa tattica sia dettata dalla volontà di anticipare le elezioni previste per l'ottobre 2013: una vittoria schiacciante, come indicano gli attuali sondaggi, per Netanyahu, gli consentirebbe di scavalcare le influenti obiezioni che si stanno levando contro un attacco preventivo a Teheran. Con una maggiornaza schiacciante il capo del governo, avrebbe le mani maggiormente libere per qualsiasi decisione. Quello che traspare quindi, è un paese spaccato dove gran parte delle elite sono contrarie ad una guerra dall'esito e sopratutto dallo sviluppo molto incerto, al contrario della maggioranza della popolazione che pare ormai seguire le convinzioni del premier; inoltre negli ambienti più estremisti dell'ebraismo ortodosso potrebbe farsi strada la convinzione che un conflitto di tale portata potrebbe portare anche ad una soluzione più favorevole nei confronti dei palestinesi, permettendo di guadagnare ulteriore terreno per lo stato ebraico. E' uno dei risvolti potenzialmente più pericolosi, perchè impedirebbe una soluzione condivisa, unica condizione per un processo di pace duraturo, senza il quale la regione tutta sarebbe trascinata in un vortice inarrestabile di violenza.

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