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giovedì 26 luglio 2012

I paesi arabi all'ONU contro Israele per gli insediamenti nei territori

I paesi arabi all'ONU hanno condannato ufficialmente la pratica israeliana di favorire gli insediamenti nella zona della West Bank. Il governo israeliano, alle prese con notevoli difficoltà di politica interna, persegue questa tattica per aumentare il proprio territorio, tramite insediamenti illegali in zone palestinesi. La mossa dei paesi arabi consiste nel richiedere una ispezione ufficiale alle Nazioni Unite per sancire l'illegalità di una situazione che rischia di diventare un argomento sostanzioso per azioni terroristiche e minare quindi il fragile equilibrio presente in Palestina. Inoltre l'azione israeliana è in palese violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite, che però non hanno fornito una risposta ufficiale alla richiesta araba. Ma i dati espongono chiaramente una situazione difficilmente ancora sostenibile: oltre 340.000 coloni vivono ormai stabilmente in Cisgiordania e circa 200.000 si sono insediati nei quartieri di Gerusalemme Est, praticamente annessa allo stato israeliano. Le risposte ufficiali del governo israeliano sembrano fatte per prendere tempo ed evitano accuratamente di affrontare esplicitamente l'argomento, riferendosi a generici richiami alla leadership palestinese a riprendere la via della pace attraverso negoziati diretti con Tel Aviv. La comunità internazionale giudica praticamente unanimemente l'illegalità e la pericolosità degli insediamenti, anche gli USA, i maggiori alleati di Israele, si dicono contrari al proseguimento di questa pratica. Tuttavia, per ora, non si è andati oltre dichiarazioni, che appaiono di facciata, perchè non vi è mai stato un seguito pratico. L'ampiezza che ha assunto il fenomeno ne denuncia anche la difficoltà di una soluzione, riportare indietro tutti i coloni, come dovrebbe essere fatto in base agli accordi vigenti, rappresenta aspetti pratici da non sottovalutare, sia per la reazione stessa di chi è soggetto attivo dell'occupazione, sia per le ripercussioni che tale eventuale disposizione potrebbe scatenare negli ambienti ortodossi, sempre più influenti nella compagine governativa. Ma la gravità della situazione rischia si esasperare troppo gli animi anche in casa palestinese, che, occorre sottolinearlo, è parte lesa nella vicenda. In una situazione regionale molto complicata come quella attuale, sarebbe saggio da parte di Israele, compiere degli adeguati passi indietro per evitare di dare motivi ad eventuali atti terroristici ed anche per uscire da un isolamento che si fa sempre più pressante, sopratutto per le mutate condizioni politiche dei paesi confinanti. La condanna dei paesi arabi agli insediamenti va letta anche come una modalità preventiva nello stesso interesse israeliano; quello che si percepisce, cioè, è di fornire addirittura una opportunità al governo di Tel Aviv, per costringerlo a dare qualche segnale importante che permetta una distensione necessaria al momento storico che gli assetti regionali stanno attraversando. L'Arabia Saudita ed il Qatar, sempre più protagonisti della politica internazionale, hanno la necessità di stabilizzare la regione in ottica anti Iran, ed hanno, quindi, tutto l'interesse che Teheran resti privo di argomenti, per non influenzare troppo diverse situazioni che si stanno presentando sempre più delicate. La questione siriana, il rapporto con gli Hezbollah e con Al Qaeda, costituiscono i sentieri attraverso i quali si muove la strategia della politica estera iraniana, che fa uso costante della leva anti israeliana, come collante della sua azione sia politica che diplomatica. Togliere legittimità agli argomenti di Teheran, significa per i paesi arabi alleati dell'occidente, l'elaborazione di una strategia che può rivelarsi efficace, sopratutto nella prevenzione di possibili conflitti. Sia l'ONU che i paesi occidentali, ma anche lo stesso Israele, dovrebbero valutare meglio questa possibilità che gli viene offerta, perchè, sopratutto, si sviluppa in ambito sovranazionale. Per Israele rinunciare a pezzi, anche consistenti di territorio strappato alla Palestina, potrebbe essere un investimento con un ritorno di gran lunga maggiore in ottica di pacificazione e risoluzione del problema palestinese.

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