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mercoledì 25 luglio 2012
L'occidente e la Lega Araba pensano al dopo Assad
Il contrattacco portato avanti da Assad, tramite l'aviazione militare dimostra che il presidente siriano non intende cedere il potere. Tramontano così le ipotesi di transizione pacifica fin qui caldeggiate dalla Russia, come scusa per il non intervento sotto l'egida dell'ONU. Tuttavia l'atteggiamento di Mosca non pare subire variazioni e ciò impone all'occidente ed alla Lega Araba di organizzare una transizione politica, che viene data, forse troppo ottimisticamente, per imminente. Infatti l'eventuale caduta di Assad potrebbe provocare diverse conseguenze, che Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Turchia, Arabia Saudita e Qatar, vogliono assolutamente evitare. Per prima cosa è necessario che non si verifichi un vuoto istituzionale, che lascerebbe il paese oltre che in preda al caos, anche alla possibilità di un intervento straniero, quello che si teme, cioè, è una iniziativa iraniana diretta a mantenere il controllo su di un territorio ritenuto da Teheran centrale nella propria strategia di politica estera. A tal fine le potenze occidentali e della Lega Araba sono orientate a favorire un governo, anche in esilio, di unità nazionale, che riunisca tutte le anime della ribellione, pronto a subentrare al potere immediatemente dopo la caduta di Assad. Tale governo dovrà assicurare l'integrità del territorio, condizione che viene considerata essenziale per l'equilibrio regionale, e dovrà essere slegato da influenze straniere che possano compromettere l'indipendenza del paese siriano. In realtà dovrà essere un governo che guarderà più ad occidente che ad oriente, facendo guadagnare la Siria alla causa occidentale, sopratutto in chiave anti Iran. Ma questo governo dovrà anche gestire la difficile situazione interna che si verrà a creare alla caduta di Assad. L'esperienza libica ha insegnato che la presenza delle milizie incontrollate ha creato e crea tuttora, diversi problemi al nuovo governo di Tripoli, costituendo un elemento di pericolosità per lo stesso esecutivo e la stabilità del paese. In Siria questo eventualità non si dovrà verificare per evitare azioni di disturbo di infiltrati e di milizie comunque favorevoli al regime come Hezbollah. Esiste poi il concreto problema della avversione della maggioranza della popolazione contro la comunità alawita, che comprende il 10% degli abitanti della Siria, a cui appartiene la famiglia di Assad e che ha, in questi anni, assorbito la quasi totalità dei posti di potere del paese. Quello che si vuole evitare sono i massacri su base religiosa, che si potrebbero innescare alla caduta del regime, che ha sempre protetto la minoranza religiosa alawita. Appare comunque difficile che questo ipotetico governo, forzatamente costruito e tutt'altro che unito, riesca ad assolvere a questi compiti essenziali, la frammentazione delle forze ribelli in Siria è stata, fino ad ora, un punto che ha facilitato l'azione del regime, nonostante le tante diserzioni subite, infatti, più che la reale forza militare, che resta un dato oggettivo, le truppe regolari hanno avuto davanti un avversario percorso al suo interno da profonde divisioni, che ne hanno impedito l'efficacia dell'azione militare, spesso per mancanza di coordinamento organizzativo. Se questa mancanza dovesse riproporsi anche a livello politico, la Siria rischia di precipitare in una spirale di violenza tipica delle guerre civili, che sarebbe il maggiore ostacolo alla ricostruzione del paese. Su queste basi e con queste premesse si concentra quindi il lavoro degli alleati occidentali per fare si che il paese siriano possa attraversare la fase di transizione con un minimo di garanzie interne, che possano assicurare stabilità al paese e di conseguenza a tutta l'area regionale, cruciale per il mantenimento della pace mondiale.
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