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martedì 5 febbraio 2013

La Francia ha difeso il Mali per proteggere il Niger?

Vi è un'ottica particolare per leggere il significato dell'intervento francese nel Mali: proteggere il Niger dall'invasione islamica e di conseguenza, tutelare gli investimenti di Parigi nelle miniere di Uranio che sono nel territorio di Niamey. Una instabilità del Mali avrebbe grosse possibilità di allargarsi nel vicino Niger, quindi l'operazione nel paese maliano, oltre ai risvolti di politica internazionale, ne ha uno molto pratico di prevenzione contro attacchi analoghi a quello che si è verificato in Algeria, nell'impianto di produzione di gas di Amenas. Da solo l'esercito del Niger non può proteggere le installazioni presenti nel paese perchè dispone di soli 5.000 uomini, che dovrebbero presidiare gli 840 chilometri di frontiera con il Mali, senza alcun mezzo aereo ed elettronico per la sorveglianza della linea di confine. Il Niger è uno dei paesi più poveri del mondo, ma è il quarto produttore di uranio del mondo, ed è destinato a balzare al secondo posto entro sette anni. Il solo comparto dell'uranio rappresenta per il paese il 60% delle proprie esportazioni, tuttavia di tutta questa ricchezza resta ben poco al paese, circa 100 milioni di euro l'anno, che non permettono di elevare il tenore di vita della popolazione locale. Già nel periodo tra il 2007 ed il 2009, gruppi di indipendentisti tuareg, avevano scatenato una serie di attentati nel nord del paese, quello dove vi è la maggiore concentrazione di miniere, che era stata definita la guerra dell'uranio. Il malcontento, insomma, è presente e strisciante nel paese e può rappresentare un buon terreno di coltura per l'inserimento del fondamentalismo islamico, sulla base di uno sfruttamento delle materie prime nazionali che si eleva soltanto di poco dalle pratiche colonialiste. La Francia, che utilizza per la produzione del suo fabbisogno di energia elettrica ben 58 centrali atomiche, che producono il 78% del totale dell'elettricità consumata, preleva dal Niger, ex colonia francese, tra il 30 ed il 40 per cento dell'uranio consumato. La multinazionale Areva, di proprietà dello stato francese per l'ottanta per cento, gestisce direttamente ben due grandi miniere. Per Parigi, quindi, la stabilità della nazione nigerina risulta fondamentale e strategica per la propria economia. Ma non è solo la Francia ad interessarsi dell'uranio del Niger, anche la Cina, attraverso la China Nuclear Internazionale Uranium Corporation, gestisce una miniera, quella di Azelik, anche se è la più piccola del paese. Pechino però ha un maggiore sfruttamento del petrolio, grazie alla gestione del sito di Agadem, capace di una produzione di 2.000 barili al giorno. Gli investimenti cinesi hanno incontrato maggiormente il favore del governo, come in molte altre realtà africane, e ciò determinerebbe maggiori opportunità per Pechino nel futuro. Questa situazione potrebbe essere però fonte di scontro tra i due partner commerciali del Niger, intanto Pechino non ha collaborato alla difesa contro l'islamismo fondamentalista, se non con l'appoggio interessato tramite il parere favorevole alla risoluzione del Consiglio di sicurezza, che, in fin dei conti, ha permesso di sfruttare l'impegno militare francese a costo zero. Questo fatto non potrà passare sotto silenzio da parte di Parigi, che potrà presentare il conto sia alla Cina che al Niger. Nonostante ciò Parigi dovrà rivedere la politica economica nel paese africano, verosimilmente incrementando il gettito a favore di Niamey, sia per calmarne lo scontento del governo, sia per contrastare l'avanzata cinese nel paese e sopratutto per permettere di creare una maggiore diffusione del benessere tra la popolazione, che impedisca alle idee fondamentaliste di attecchire.

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