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lunedì 29 aprile 2013

Il conflitto tra sciti e sunniti rischia di allargarsi oltre l'Iraq

Salgono le vittime degli attentati in Iraq. Le 200 persone decedute in meno di una settimana, a seguito di violenze che sembrano aumentare sempre di più, hanno destato impressione anche in un paese, ormai, purtroppo abituato agli episodi terroristici. L'Iraq viene sempre descritto come sull'orlo di una guerra civile, in realtà le dimensioni della carneficina, che si protrae fin dall'invasione statunitense, dicono chiaramente che nella nazione sia in corso un conflitto interno vero e proprio. Il problema centrale è l'avversione storica tra la comunità scita, maggioranza nel paese, e quella sunnita. Con Saddam Hussein al potere, questo contrasto era soffocato da una dittatura autoritaria, che prediligeva l'etnia sunnita, quella di provenienza del dittatore, con l'affidamento dei posti di comando nella società e nell'esercito. La caduta del dittatore di Bagdad ad opera degli americani, che doveva liberare il paese e portarvi la democrazia, ha, in realtà, lasciata aperta la questione tra sciti e sunniti, senza controllo alcuno. La responsabilità americana dello stato di cose attualmente presente in Iraq è molto pesante ed è accresciuta con l'abbandono delle forze armate USA da un paese non ancora pronto alla gestione autonoma delle proprie problematiche. Anche in campo internazionale l'assenza di un coordinamento che potesse trovare soluzioni atte a scongiurare una situazione in continua degenerazione, è sicuramente altrettanto responsabile dello stato di violenza che regna nel territorio iraqeno. Una soluzione possibile poteva essere quella di dividere materialmente l'entità statale iraqena in tre stati separati dove sciti e sunniti, insieme ai curdi, che godono già di un grado elevato di autonomia, potessero amministrare i loro territori di competenza. Ciò non è successo per non dare modo all'Iran di esercitare la sua influenza sugli sciti, che vedono Teheran com proprio alleato naturale. In realtà l'influenza iraniana è sempre stata esercitata, anche se in modo sotterraneo, ma proprio per questo in maniera ancora più subdola. Fino ad ora la realtà iraqena è stata sottovalutata perchè vista come fenomeno circoscritto, ma le dimensioni del fenomeno ed i legami con altre situazioni, la portano prepotentemente alla ribalta. Attualmente la minoranza sunnita si sente emarginata dai processi decisionali dello stato, che vedono monopolizzati dagli sciti. Questo senso di frustrazione rischia di allargarsi pericolosamente oltre i confini dello stato, complice la situazione siriana, dove i sunniti iraqeni sembrano solidarizzare con i ribelli avversari di Damasco e quindi di Teheran e degli Hezbollah. Questa situazione crea un incremento potenziale della divisione settaria a livello internazionale tra le due maggiori correnti dell'islamismo, con una evidente ricaduta della stabilità di diverse regioni mondiali. Non focalizzare l'attenzione sulla situazione iraqena nel modo adeguato, può significare, per l'occidente, trovarsi impreparati di fronte ad una evoluzione pericolosa del rapporto tra sciti e sunniti, che dall'Iraq può estendersi sullo scenario internazionale, fino a coinvolgere direttamente i paesi di riferimento delle due correnti. Il rapporto tra Arabia Saudita ed Iran, a questo proposito, che risulta già fortemente compromesso per la supremazia nell'Islam, subirebbe senz'altro un peggioramento ulteriore. Se allo scenario di massima crisi del paese, avvenuto tra il 2006 ed il 2007, non corrispondeva una situazione internazionale fortemente instabile come l'attuale, il ripetersi delle violenze di allora nel contesto attuale non potrà che riverberarsi nei paesi confinanti, allargandosi in maniera sistematica. Fermare le violenze in Iraq è un investimento per la pace di una vasta parte del mondo, che è, oltretutto, strategica per la presenza massiccia del petrolio.

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