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venerdì 12 settembre 2014
Gli errori di Obama lo hanno condotto all'attuale situazione
Obama si trova ora ad affrontare una situazione molto grave in medio oriente, creata anche grazie alla sua mancanza di decisione nei confronti della questione siriana. La volontà di non entrare in un conflitto difficile e sostanzialmente non appoggiato dai propri alleati, soprattutto quelli europei, ha partorito l’idea della distruzione delle armi chimiche del regime di Damasco, come contro partita per non intervenire nel conflitto. La titubanza della Casa Bianca, impaurita di trovarsi in una replica dell’Afghanistan e dell’Iraq, benché comprensibile, ha generato un atteggiamento poco lungimirante, i cui effetti negativi si vedono oggi, con la crescita del califfato e l’obbligo di guidare, attraverso estenuanti trattative diplomatiche, una coalizione nella quale gli USA saranno comunque al comando e dovranno impiegare i propri mezzi militari per l’intervento. Non pochi analisti avevano prospettato un futuro difficile quando gli Stati Uniti avevano scelto una posizione di secondo piano nella contesa siriana. Un intervento risolutivo al momento giusto avrebbe eliminato il regime di Assad e, soprattutto, impedito la nascita dello Stato Islamico. La resistenza all’intervento ha provocato il raffreddamento dei rapporti con gli stati del Golfo, che sono usciti dal controllo americano e, per perseguire interessi propri, la supremazia sull’Iran, hanno finanziato le parti dell’opposizione a Damasco da cui si è formato lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Deve essere anche detto che i mancati aiuti all’opposizione democratica hanno favorito l’iniziale alleanza di questi gruppi con le parti più estremiste, questi accordi, presto naufragati, hanno dato il via a lotte intestine in seno all’opposizione siriana, che non hanno fatto altro che favorire la permanenza al potere, seppure su di un territorio ridotto, di Assad. L’attuale situazione è che la il dittatore di Damasco può venirsi a trovare in una posizione utile a Washington, in funzione anti Stato islamico, ma che questa necessità lo legittimi, quale capo di stato, di fronte al panorama mondiale. Alla luce di questi sviluppi risulta incomprensibile come gli Stati Uniti siano rimasti sostanzialmente inattivi mentre la tragedia siriana andava sviluppandosi. Non è sufficiente lo spauracchio russo, mentre la Siria potrebbe essere stata sacrificata al dialogo con Teheran, tuttavia, nessuna analisi avrebbe potuto prevedere l’attuale sviluppo militare ed economico dello stato islamico. Non che questa sia una scusante per Obama ed i suoi collaboratori: la mancanza di una lungimiranza in politica estera costituisce una grave colpa per chi ambisce a restare la prima potenza mondiale. A parziale scusante dell’amministrazione della Casa Bianca deve essere però considerata la grave congiuntura economica ed una opposizione interna che non ha mai del tutto compreso la portata degli eventi e la conseguente collaborazione con il governo in carica. Deve poi essere considerata una visuale ancora più ampia, la frammentazione del potere mondiale, non ha creato potenze nazionali capaci di svolgere il ruolo che gli USA hanno interpretato fino ad ora: la Cina è un gigante economico, ma politicamente si è chiamata fuori in osservanza della propria dottrina del non intervento, che non può costituire una azione degna di una potenza mondiale; la Russia, malgrado le intenzioni di Putin, rimane una grande potenza regionale, la UE è troppo divisa per essere considerata una forza globale, anche solo a livello politico. In questo panorama gli USA, però, non sono affatto cresciuti. Malgrado gli sforzi di Obama per affrancarsi dall’idea di una potenza imperialista, gli USA hanno dato l’impressione di chiudersi in se stessi, non assolvendo più i compiti che si erano auto assegnati. Ma gli errori non sono stati soltanto di natura concettuale: la pessima gestione della questione irakena ha contribuito non poco alla destabilizzazione del medio oriente e c’è da augurarsi che ciò non si ripeta in Afghanistan, dove potenzialmente, potrebbe crearsi un nuovo stato islamico questa volta soltanto più ad est. Per rimediare agli errori fatti Obama ha intensificato l’azione politico diplomatica del proprio Segretario di stato, che ha tessuto una trama fitta di contatti che potranno portare a sviluppi interessanti, tuttavia, questa scelta contrasta con il carattere di urgenza che impone la risoluzione del conflitto del califfato. L’emergenza umanitaria creata suscita apprensione come la potenziale attrattiva di nuove reclute per il terrorismo islamico, che il califfato sta esercitando su giovani musulmani provenienti da tutto il mondo e che costituiranno, una volta rientrati in patria degli ordigni umani potenziali, obbliga, tra le altre ragioni, a soluzioni che appaiono già troppo in ritardo. Occorre che Obama, in questa fase del suo mandato presidenziale, assuma un carattere più decisionista, anche a costo di andare contro la propria opinione pubblica ed i propri elettori, si tratta di un investimento per non essere ricordato come un presidente mediocre in politica estera.
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