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martedì 22 febbraio 2011
Cina e rivolte nei paesi arabi
Nel momento si sommovimento generale, con rivolte in corso e cambiamenti epocali, brilla il silenzio della nuova potenza mondiale. Non che si aspettasse che la Cina condannasse le dittature ed i loro metodi, dal momento che essa stessa fa uso di analoghi strumenti per soffocare il dissenso interno, tuttavia appare francamente strano che il colosso di Pechino non abbia speso neppure una parola per le crisi in atto. La scelta costante della politica estera di Pechino è sempre stata contraddistinta dalla non ingerenza degli affari interni degli altri paesi, ed anche in questo momento storico la direzione è mantenuta con un comportamento netto che non si discosta dalla consuetudine. Se la linea mantenuta è coerente con l'azione diplomatica consueta della Repubblica Popolare Cinese vi è però, un contrasto marchiano con la volontà di affermazione come potenza di livello politico, non solo economico, più volte ricercata da Pechino. Sicuramente vi è un contrasto in seno alla diplomazia cinese, mantenersi fuori dalla contesa significa non essere coinvolti in paragoni e giudizi, consentendo di non focalizzare anche sulla Cina il problema, già sentito sulla scena internazionale, del rispetto dei diritti umani; dall'altro lato l'assenza dall'azione diplomatica, in cui per il momento l'occidente gioca un ruolo centrale, ancorchè sottotraccia e non rilevante, priva la Cina della visibilità necessaria per accreditarsi come interlocutore alternativo. Viene insomma, per il momento, scelto un low profile che la dice lunga sulle reali intenzioni cinesi a guardare verso una democratizzazione del suo sistema. Ciò non può fare a meno di preoccupare l'intero panorama internazionale: continueremo ad avere a che fare con una nazione, che è la seconda potenza mondiale, che non intende intraprendere la via della democrazia.
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