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Politica Internazionale
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mercoledì 8 giugno 2011
Prime crepe nell'esercito siriano
Parti dell'esercito siriano iniziano a rompere con il regime ufficiale, ed è questa la paura più grande per il regime di Assad. L'apparato siriano si fonda su una macchina della repressione il cui monopolio è totalmente in mano al clan insediato al governo. Si tratta di un monolite che non è mai stato scalfito nel tempo, ma che non è mai stato impiegato, specialmente sul fronte interno, in maniera così massiccia, per cui non è mai stato sottoposto a sollecitazioni così pesanti. Il protrarsi della protesta e della conseguente repressione mostra ora delle crepe nel sistema coercitivo messo in piedi da Damasco. Fonti ufficiali parlano di interi reparti dell'esercito caduti in imboscate ad opera di uomini armati, ma l'evenienza pare troppo remota perchè si tratterebbe di reparti corazzati, praticamente non battibili se non da truppe equipaggiate con mezzi analoghi. Il sospetto è che si tratti di regolamenti di conti tra truppe fedeli al regime contro reparti che cominciano a soffrire l'impiego repressivo contro i civili. La questione è di fondamentale importanza nell'economia della questione siriana: senza l'unità della forza repressiva il regime è, di fatto, isolato e destinato a fine certa. Probabilmente l'imbarbarimento della dura risposta militare deriva da questa consapevolezza. Peraltro Assad non ha antagonisti sufficientemente motivati in campo internazionale, le misure prese dalla comunità internazionale sono infatti insufficienti a fermare il pugno di ferro verso gli oppositori. Quello che manca è la spinta necessaria a sanzionare adeguatamente il regime, al di la delle dichiarazioni di facciata e delle petizioni di intenti; con questo stato di cose il regime di Damasco non è abbastanza intimorito e continua indisturbato nella repressione. La questione è spinosa, la vicinanza della Siria all'Iran, impone la massima cautela, ma appare irreale che il regime cada da solo in tempi brevi, senza alcuna forma di pressione esterna. Si possono bene comprendere le remore degli USA, già impegnati su più fronti, ma, altresì, non è chiaro il temporeggiamento di UE e sopratutto ONU, che dovrebbero dare alla vicenda un peso ben maggiore di quello fino ad ora dedicatogli.
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