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mercoledì 30 novembre 2011
Dietro all'assalto all'ambasciata inglese
Le modalità dell'assalto all'ambasciata inglese a Teheran sono quelle già viste in Siria e peraltro, tatticamente già sperimentate, contro l'ambasciata USA, quando il presidente era Carter. Quella che appare più evidente è la similitudine con gli atti di Damasco, una vera e propria scelta di colpire le sedi di rappresentanza dei paesi ritenuti nemici. Un avvertimento chiaro a non continuare con la politica contraria verso il paese dove sono ospiti, ma non per concessione, ma in virtù di accordi internazionali liberamente sottoscritti. Sembra evidente che vi è una unica mano dietro questa strategia e non è difficile individuarla nei servizi fedeli al presidente iraniano in carica, che è anche il suggeritore che sta dietro le repressioni siriane. Purtroppo sta diventando una prassi, usata anche però in Egitto, quella di assaltare le ambasciate che dovrebbero avere assicurata la protezione del paese dove operano. Violare questo precetto del diritto internazionale mette su una brutta china qualsiasi rapporto tra stati, non assicurare l'extraterritorialità è poco meno che una dichiarazione di guerra aperta, che implica, per il paese che compie questa violazione, intraprendere una strada di isolamento praticamente scontato. Potrebbe essere una nuova modalità per rompere accordi sottoscritti in maniera ufficiale, obbligando i paesi i cui uffici diplomatici sono stati violati, ad agire in modo unilaterale chiudendo le ambasciate e, di fatto, rendere lettera morta il trattato bilaterale firmato. Sembra proprio questa la strada intrapresa dal regime iraniano: obbligare alla chiusura le ambasciate dei paesi che vengono individuati come potenziali nemici che agiscono sul territorio con modalità spionistiche. Il tutto si inquadra nella lotta al nucleare iraniano ed ai mai chiariti attentati verso scienziati locali impegnati nello sviluppo della tecnologia atomica. Che sia vero o meno l'Iran vede dietro a questi attentati il Regno Unito (e gli USA, certamente, ma non è ancora venuto il momento per affrontarli in modo così aperto) ed in più da un chiaro avvertimento agli altri stati, di cosa può aspettarli se insistono nelle sanzioni. E' il contrario di un atteggiamento conciliante, una situazione precipitata con il rapporto AIEA, ed insieme una sorta di ammissione di colpa sui reali scopi della ricerca atomica intrapresa da Teheran. In questo modo la strada è segnata: da un lato l'Iran vuole liberarsi della presenza dei diplomatici occidentali perchè tutti potenziali spie, dall'altro lato viene scelto il muro contro muro contro la comunità internazionale ed in special modo con l'occidente. Il Presidente iraniano spera ancora di potere agire contro gli USA ed i suoi alleati in virtù delle ampie discordanze che essi hanno con Cina e Russia, e sul breve periodo ha qualche ragione: in questo momento l'atteggiamento di Mosca e Pechino è di forte distanza da Washington, ed anche il nucleare iraniano è una leva da fare valere in un raggio più ampio dei rapporti tra questi colossi; ma se l'Iran riuscisse a raggiungere veramente l'obiettivo dell'atomica, anche i rapporti regionali, data la vicinanza con Cina e Russia, andrebbero per forza a cambiare. Se invece di girare le rampe dei missili verso ovest, Teheran le ruotasse verso est, la gittata degli ordigni nucleari potrebbe raggiungere facilmente i loro territori. E' una ipotesi remota, ma nessuno può prevedere l'evoluzione delle dinamiche dei rapporti tra gli stati, con la velocità dei cambiamenti, caratteristici di questa fase storica. Mosca e Pechino stanno conducendo un gioco molto pericoloso di cui potrebbero diventare a loro volta vittime, una minaccia di un'atomica in più, specialmente in mano a regimi non che non proprio garantiscono una condotta univoca, non è comunque da sottovalutare, anche per il solo fatto di potere potenzialmente variare rapporti di forza militare certi ed abbastanza definiti. L'attacco all'ambasciata inglese deve quindi fare suonare un campanello d'allarme non solo nella NATO e nell'occidente ma in tutto il consesso mondiale, sopratutto per quello che sotto intende, oltre alla gravità del fatto in sè, verso possibili negativi sviluppi per l'equilibrio mondiale.
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