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Politica Internazionale
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martedì 1 novembre 2011
Il pericolo della diffusione referendaria di tipo greco
Le regole democratiche impongono il rispetto delle decisioni prese a livello popolare, di cui il referendum è una delle massime espressioni. Tale tipo di consultazione si usa non costantemente, poichè svuoterebbe il senso delle elezioni politiche e quindi del significato stesso della rappresentanza, cardine esso stesso della vita democratica, ma eccezionalmente in particolari casi ritenuti di rilevanza maggiore. Ora il fatto di affidare al popolo di potere esprimere il proprio pensiero su normative, frutto di accordi internazionali, che vanno a regolamentare direttamente i criteri della qualità della vita non può che essere manifestamente giusto. Il problema, però è che un referendum non è mai propositivo, ma abrogativo e la conseguenze della decisione, qualunque essa sia, sono ricomprese nello stesso esito dell'urna. Il preambolo serve a mettere a fuoco gli effetti della possibile diffusione dello strumento referendario sulla materia degli accordi economici a seguito della riduzione del debito degli stati. Le considerazioni vanno fatte nei due sensi, giacchè si potrebbe verificare anche un referendum per il popolo tedesco, chiamato ad esprimersi sulla contribuzione agli aiuti per gli altri stati. Se un aspetto è l'autodeterminazione, però limitata, della popolazione, che alla fine può solo dire si o no, dall'altra parte vi è il fallimento degli organismi politici di rappresentanza ed il modo stesso di praticare la democrazia, caratterizzata da scarsa partecipazione, sia per la possibilità limitata di accedervi, sia anche per il purtroppo scarso senso civico presente. Tuttavia, pur guardando con simpatia allo strumento del referendum e sopratutto in casi come questo, il fenomeno che si rischia di innescare può portare più effetti negativi che positivi, certo il massimo sarebbe la presenza di una classe politica capace di addebitare ai veri colpevoli, tra cui una parte consistente proprio di essa, lo sfacelo finanziario che stiamo vivendo, ma se questo fosse vero non si sarebbe neppure a questo punto. E però una fine dell'area comune europea riporterebbe indietro l'orologio di 40 anni, creando dei paesi più deboli di fronte ai fenomeni della globalizzazione, dell'immigrazione e del terrorismo internazionale, solo per citarne alcuni. L'esempio dell'Islanda è affascinante ma non è rilevante sia per dimensioni economiche che politiche del paese nordico, più probante potrebbe essere il caso greco, che pur essendo limitato andrebbe ad essere un buon banco di prova sia per le ricadute interne che esterne. Ma se i greci vogliono, in un certo senso, condannarsi ad un destino ineluttabile, perchè la UE impone sacrifici, ma esserne fuori sarebbe ancora molto peggio, quello di cui non tengono conto è l'effetto domino che andrebbero a provocare. Tuttavia da questa situazione si può ricostruire l'Unione Europea non più su base soltanto utilitaristica ma veramente cooperativa, basandosi su valori effettivamente condivisi, ancorchè ricontrattati in modo da favorire effettivamente la popolazione anzichè i grandi finanzieri ed i gruppi bancari. Per evitare il propagarsi dell'epidemia referendaria, che pur partendo da giusti presupposti avrebbe effetti nefasti, occorre effettivamente caricare il costo economico della crisi su quei soggetti che, oltre ad averla provocata, ne hanno tratto anche ampio guadagno, soltanto cioè mitigando i costi sociali sulla maggioranza della popolazione si può indurre la maggior parte della società ad accettare i giusti sacrifici nella giusta misura.
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