Ci sono due necessità complementari che spostano il fulcro del processo di pace afghano verso Istanbul.
Da una parte la necessità sempre crescente degli Stati Uniti di sganciarsi da una situazione ritenuta matura per impiegare una tale quantità di uomini e mezzi, sia per le questioni intrinseche alla realtà aghana, sia per ragioni di politica interna americana. Dall'altra vi è la sempre maggiore ricerca di visibilità e di importanza, sopratutto regionale, ma anche a livello maggiore, della Turchia, che cerca di imporsi come soggetto principe nell'area. Per gli USA, di cui la Turchia è un fedele alleato e con cui i rapporti sono ottimi, la soluzione costituisce una sorta di delega ad Istanbul per la ricerca di una soluzione negoziale nel difficile processo della ricostruzione afghana. L'entrata nell'agone diplomatico della questione afhana della Turchia, in maniera ufficiale, segue una attività sotterranea che Istanbul non ha disdegnato da diverso tempo, ma che ora assume quasi la rilevanza di una investitura da parte di Washington. Il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu, infatti ha definito espressamente "Processo di Istanbul", il vertice a cui hanno partecipato ben 29 paesi all'inizio di Novembre e che ha cercato di individuare provvedimenti in grado di ridare fiducia alla regione. Gli USA si affidano al ruolo di Istanbul quale paese leader della regione, posizione che il governo turco ha saputo ritagliarsi con una politica avveduta ed anche, in un certo senso, obbligata dall'impossibilità di entrare nell'Unione Europea. Guardare ad oriente è stata una non scelta che, alla fine, si è rivelata vincente per Istanbul, anche grazie alle maggiori affinità con i popoli vicini. La Turchia e dietro le quinte senz'altro gli Stati Uniti incentrano la collaborazione con Kabul sulla cooperazione nei temi della sicurezza e dell'economia in una maniera assolutamente paritaria, che non deve generare dubbi su eventuali sospetti di ingerenza negli affari interni dell'Afghanistan. Il problema per raggiungere tali obiettivi è la variabile del terrorismo ed i rapporti tra Kabul ed Islamabad, dietro cui si staglia l'ombra americana, che imputa al Pakistan, non soltanto di non fare abbastanza su questo fronte, ma addirittura di avere delle connivenze con i gruppi radicali e le milizie talebane. Tuttavia la presenza turca nel cuore delle trattative ha già portato variazioni positive, infatti la creazione di una commissione trilaterale composta proprio da Afghanistan, Pakistan e Turchia per investigare sull'attentato contro Burhanuddin Rabbani, presidente dell’alto Consiglio per la pace afghano, ucciso in un attacco suicida il 20 settembre scorso a Kabul, può significare un sostanziale avanzamento sul piano del dialogo tra Kabul ed Islamabad. La politica turca può, quindi, portare benefici evidenti alla stabilità dell'area, operando senza dispiegamento bellico, di cui pure avrebbe anche le capacità militari, ma privilegiando gli aiuti umanitari e cercando in tal modo ad accreditarsi come il paese islamico del dialogo.
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