L'ex capo del Mossad ha fatto delle dichiarazioni pubbliche importanti, ma ha anche scoperto l'acqua calda; infatti ha avvertito che un attacco militare contro l'Iran aprirebbe una guerra su di un teatro, almeno regionale, che andrebbe a coinvolgere anche la milizia scita libanese, Hamas, Hezbollah e la Siria. Si tratta di uno scenario credibile, anche se possibile di alcune variabili da valutare attentamente, sopratutto al di fuori del puro confronto militare, come l'atteggiamento diplomatico di paesi importanti come la Turchia, l'Egitto (dove sul piano elettorale si stanno affermando i Fratelli musulmani), che potrebbero determinare un isolamento internazionale ancora più pesante per Tel Aviv. Le dichiarazioni sembrano comunque gettare acqua sul fuoco alimentato continuamente dal governo israeliano in carica, ed evidenziano il concreto pericolo che correrebbe lo stato della stella di David in un conflitto di questa portata. La dichiarazione ha anche una portata mediatica non indifferente, perchè aggiunge una voce contraria, non scontata perchè proveniente da ambienti tradizionalmente non critici verso il governo, all'ampio panorama nazionale che si oppone ad un eventuale conflitto con l'Iran. La visione che l'ex capo del Mossad detiene circa l'argomento di una guerra regionale, in senso lato, quindi non solo per questo caso particolare, è di profonda contrarietà, in quanto una guerra del genere è giustificabile solo in caso di risposta ad attacchi diretti. La convinzione dell'ex capo del Mossad si basa sulla reale preoccupazione degli effetti che un conflitto con l'Iran potrebbe produrre sulla vita del paese e dei suoi cittadini; questo significa che gli analisti immaginano uno scenario di media o lunga durata, dove il conflitto non può essere risolto in tempi brevi, proprio per la capacità militare dell'avversario, valutata in grado di impegnare l'esercito israeliano in maniera consistente.
A destare viva preoccupazione nello stato israeliano, sono state le recenti dichiarazioni del ministro della difesa Ehud Barak che ha dichiarato di valutare in un tempo inferiore ad un anno lo spazio di manovra, per un eventuale attacco armato contro l'Iran, prima, cioè, che Teheran arrivi a disporre della tecnologia per l'atomica.
Nella questione è fondamentale anche l'azione di contenimento che sta operando Washington, fortemente contraria, in questo momento ad una azione militare di Israele, che la vedrebbe inevitabilmente coinvolta, seppure senza ne convinzione ne volontà. La situazione è tuttavia fluida, quello che si teme è una azione uniltareale di Israele, che in una fase iniziale del conflitto, potrebbe agire in modo autonomo, senza cioà alcun accordo o comunicazione, obbligando i propri alleati ad un intervento al proprio fianco non programmato ne condiviso.
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