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venerdì 13 aprile 2012
La distorsione politica dei governi tecnici
Un mezzo, che in futuro pare dovrà aumentare sempre di più, per permettere di governare le crisi economiche e finanziarie, dovrebbe essere costituito dalla rinuncia di quote di sovranità nazionale a beneficio di organizzazioni sovranazionali. Detto così potrebbe significare soltanto, in un quadro politico e normativo certo, il mero trasferimento di delega, attraverso il comune esercizio del voto, da rappresentanze esclusivamente nazionali a rappresentanze sovranazionali, comunque in grado di garantire una rappresentatività democratica capace di gestire le situazioni sia di ordine esecutivo che legislativo, che il momento storico attraversato vorrà presentare, attraverso la politica, intesa come esercizio democratico. Se così fosse, gli unici a potere obiettare qualcosa contro questo ordinamento potrebbero essere coloro che si riconoscono in movimenti locali o nazionalistici, che non riescono a superare l'idea di patria o nazione e pertanto non condividono l'unione tra stati, pur accomunati da reciproci fattori comuni, capaci di aggregare nazioni diverse. Sono obiezioni legittime che fino a questo momento rappresentavano l'unico elemento di contrarietà ad una spinta propulsiva definitiva che portasse, ad esempio, al compimento del processo per gli Stati Uniti d'Europa. Le crisi finanziarie, oltre ai tanti fattori negativi che hanno portato, sia di tipo economico, che sociale, sono anche riuscite ad incrementare la sfiducia, che ha passato le frontiere dei partiti nazionalisti o dei movimenti locali, verso la politica di unione perchè questa è stata scavalcata in avanti dalla costruzione di forme di governo artificiali, che non hanno nulla in comune con i risultati scaturiti dalle urne elettorali. La piaga dei governi tecnici, che provengono alla fine, da quegli stessi ambienti che hanno determinato le crisi finanziarie, è stato il colpo finale che favorirà il sentimento dell'anti politica. Cittadini delusi da classi politiche incapaci e non all'altezza, sia morale che tecnica, mancante, cioè, della totale capacità dell'esercizio dell'amministrazione della cosa pubblica, si vedono ora vessati da personale di governo, calato dall'alto, che percorre scopi, senza alcuna discriminazione di tipo politico, senza cioè alcun apparente criterio di scelta, in nome di obiettivi da raggiungere attraverso il mero uso della calcolatrice. Politiche fiscali troppo pressanti che non tengono conto della necessaria crescita e che per questo saranno vanificate, sono percorse in modo ottuso e con pochi compromessi con quei soggetti politici che costituivano i tradizionali interlocutori del dibattito politico. Questo è già realtà per Grecia ed Italia ed il rischio che la pratica si allarghi ad altri stati è ormai una certezza. Ci si avvia verso un nuovo feudalesimo, se possibile peggiore delle dittature, dove il consenso non è necessario perchè ciò che legittima il potere è il solo fattore economico, un potere sordo ed impermeabile alle critiche, tanto da non doverle neppure considerare come elemento di disturbo alla propria azione, un potere che per ora mantiene i riti della democrazia in vita, ma svuotandoli dei loro reali significati e che in futuro potrà cancellarli come inutili orpelli perchè rallentano l'azione governativa. D'altronde è proprio il diffuso sentimento, in gran parte giustificato, di avversione alla politica che costituisce un fattore facilitante della diffusione della tecnocrazia: l'impressione di competenza ed anche di onestà che spesso ispirano i tecnici maschera molto bene il fatto che svolgano la loro azione senza investitura popolare ed anzi che questa possa diventare non più necessaria in un futuro prossimo. Anni ed anni di uso distorto dei media hanno favorito uno spianamento delle coscienze e delle consapevolezze proprio di quei ceti che più dovrebbero esercitare i loro diritti democratici e che ora, invece, sono proprio quelle parti sociali che più avvallano l'avvento dei tecnici, non rendendosi conto di esserne le principali vittime. In nome dela tecnocrazia è più facile cancellare diritti ed indebolire conquiste per cui si è impiegato anni: non è la parte politica avversa che li propugna per un particolare programma politico, ma sono soltanto gli effetti che permettono di raggiungere un valore complessivo che scongiura qualche punto in meno di un indice borsistico. Appiattendo il confronto, che diventa asettico e privo della dialettica necessaria a sviluppare il classico dibattito politico, il raggiungimento dello scopo è quasi indolore perchè anestetizzato dai freddi dati presentati senza un necessario corollario programmatico decisivo per la sua comprensione. Insomma senza una limitazione urgente del ricorso al governo di tipo tecnico si richia la perdita della democrazia senza neppure rendersene conto, occorre perciò trovare alternative che consentano di superare le tradizionali differenze ideologiche tra le forze politiche, anche con forme di coalizioni temporanee, ma non imposte dal mercato, che permettano di recuperare alla politica il ruolo che le spetta.
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