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venerdì 20 aprile 2012
Pechino interessata all'Artico
Complice il disgelo causato da una dissennata politica industriale, che non ha tenuto conto degli effetti della propria azione sul clima, l'Artico, che rappresenta una riserva di energia enorme e non ancora sfruttata, sta diventando sempre più facilmente raggiungibile. E' da questo assunto che si muove la Cina, paese sempre più affamato di fonti energetiche, per cercare di entrare nello sfruttamento di materie prime del circolo polare artico e di aprire nuove vie di comunicazioni marine che rendano minore la distanza tra Asia ed Europa, per il trasporto delle merci. Pechino ha individuato nell'Islanda, paese dove il leader cinese Wen Jiabao effettuerà una visita ufficiale, all'interno del viaggio dal 20 al 27 Aprile nel nord dell'Europa, una base strategica per sviluppare questa linea economica, in ragione della posizione geografica dell'isola a metà tra continente artico ed Europa. In realtà la Cina aveva tentato di entrare in Islanda con una pratica spesso adottata con paesi più poveri e cioè acquisendo porzioni di territorio per effettuare speculazioni immobiliari ed impiantare le proprie infrastrutture. Ma il piano è fallito per l'opposizione del governo di Reikiavyk. Ora Pechino proverà la via ufficiale degli accordi economici per sviluppare una collaborazione conveniente ad entrambi le parti, questo perchè la Cina continua a ritenere fondamentale potersi appoggiare a basi islandesi. Tuttavia il piano per potere accedere all'Artico non comprende la sola Islanda, il colosso cinese cerca di avere maggiore importanza dell'attuale ruolo di osservatore, all'interno del Consiglio Artico, composto da Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, USA e Svezia. La politica cinese nei confronti dello sfruttamento dei giacimenti sotto la calotta polare consiste nel dirsi disponibile allo sviluppo sotenibile e pacifico della regione, la quale, però, non deve essere considerata come territorio privato dei paesi geograficamente più vicini, ma, viceversa è da intendersi come patrimonio comune del mondo. E' una tesi controversa, conoscendo le reali mire cinesi sulle risorse energetiche presenti e sul loro peso strategico in ottica sia industriale che militare. L'impressione è che siamo di fronte ad un futuro denso di annose dispute e che per i giuristi e le organizzazioni internazionali ci sarà molto lavoro. Ma la Cina è costretta a muoversi in tempo perchè oltre ai paesi membri del Consiglio Artico, si sono mossi anche la UE, il Giappone e la Corea del Sud, tutti a rincorrere lo sfruttamento dei preziosi giacimenti. All'interno del Consiglio Artico, poi, si muovono alleanze e tendenze che potrebbero essere determinanti per Pechino: infatti se Russia e Canada, sono i paesi che più ostacolano la marcia cinese, altri potrebbero essere necessari per i progetti di Pechino. La Svezia e la stessa Islanda sono quelle più favorevoli ad una cooperazione con la Cina e poi esiste il caso Norvegia. I rapporti tra Pechino ed Oslo non sono buoni dopo che la Cina ha condannato la Norvegia per l'assegnazione del premio Nobel al dissidente Liu Xiaobo, impedendogli il ritiro dell'ambito riconoscimento. La guerra commerciale che si è innescata a seguito di questo episodio non favorisce certo un miglioramento dei rapporti e la continua richiesta di scuse di Pechino per il Nobel non permette un miglioramento della situazione. Tuttavia, circoscrivendo la situazione alla necessità cinese di entrare in gioco per l'Artico, Pechino si troverebbe ora in una posizione di inferiorità rispetto ad Oslo e questo potrebbe fare riconsiderare al governo cinese la propria politica verso la Norvegia. Potrebbe essere anche l'occasione per la richiesta di un cambio di atteggiamento di Pechino verso i dissidenti ed inserire così regole democratiche in cambio di risorse energetiche, una soluzione da non scartare.
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