I peggiori timori israeliani si sono avverati con l'elezione di Mohamed Morsi a Presidente dell'Egitto. Le speranze di una elezione del candidato dell'esercito sono state frustrate dalla salita al potere dell'esponente di un movimento di radicali islamici, i Fratelli musulmani, che considera lo stato di Israele un nemico. Le reazioni ufficiali a Tel Aviv sono di freddezza ed improntate su dichiarazioni di circostanza, dove si loda il progresso democratico egiziano ed il rispetto per l'esito delle elezioni, auspicando la continuazione dei buoni rapporti presenti ta i due stati. Tuttavia i sentimenti reali del paese sono di profonda inquietudine per i possibili sviluppi della situazione e per la delusione della mancata instaurazione di una democrazia pienamente laica ad Il Cairo. Questo, del resto, è stato l'errore di valutazione compiuto da tutte le cancellerie occidentali, dove si è ritenuto che una rivoluzione contro una dittatura portasse in automatico ad una democrazia scevra da influssi teocratici, caratterizzati da elementi, ed è proprio questo l'ossimoro, contenenti elementi di autoritarismo. Questione percepita dalla grande maggioranza degli egiziani, che non si è recata alle urne proprio per la mancanza di fiducia in entrambi i conendenti politici, arrivati al ballottaggio. Per Israele ora si concretizza la paura del futuro del trattato di Camp David, che ha permesso di mantenere per trenta anni una salda sicurezza sul confine meridionale del paese. Se queste condizioni dovessero mutare, per Tel Aviv si tratta di rivedere tutto l'intero assetto difensivo in vigore nel paese.
Nonostante il nuovo presidente egiziano abbia espressamente detto che non intende cambiare nulla circa i trttati in vigore con Israele, quest'ultimo ha dei Fratelli musulmani una idea che li colloca non molto distante da Al Qaeda e sostanzialmente non crede alle parole di Morsi. Lo schema che potrebbe presentarsi è quello di un mantenimento ufficiale del trattato, violato in modo non ufficiale tramite aiuti in armi ad Hamas e la riapertura della frontiera di Gaza, che permetterebbe l'ingresso di terroristi direttamente nel Sinai, aumentando la capacità operativa dei movimenti anti israeliani. Neppure le flebili speranze, che vedono l'esercito egiziano come un possibile contrappeso al potere dei Fratelli musulmani, possono concedere una qualche tranquillità agli israeliani. Paiono infatti finiti i tempi della cooperazione tra i due stati contro i movimenti islamici radicali, l'inversione di rotta ad Il Cairo fa presupporre un diverso atteggiamento, certamente più tollerante, verso i gruppi islamisti, che certo non potrà che alzare la tensione fra i due paesi. Infatti è dalla caduta di Mubarak che si assiste a ripetuti incidenti e scontri alla frontiera tra Israele ed Egitto, che possono essere soltanto il prologo di una situazione destinata a peggiorare, se non interverranno ulteriori soggetti sulla scena politica egiziana.
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