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martedì 29 gennaio 2013
Egitto: le forze armate possono esercitare un ruolo più importante nello stato
Nella condizione sempre più incerta, in cui si trova attualmente l'Egitto, è ancora l'esercito uno dei punti fermi dello stato. Malgrado i ripetuti tentativi di delegittimazione e la ristrutturazione imposta dal nuovo governo, le forze armate dimostrano di potere esercitare ancora un ruolo istituzionale di primo piano. Le dichiarazioni del Ministro della Difesa Abdel Fatah El Sisi, sono state molto significative al riguardo. Per i militari la crisi che sta perdurando nel paese, rischia di portare lo stato al collasso, il raggiungimento della stabilità appare lontano, per la condizione di continuo conflitto tra le diverse forze politiche e l'estremizzazione del trattamento della cosa pubblica, con l'imposizione di leggi e provvedimenti non condivisi, come la proclamazione della nuova costituzione, che si basa fortemente sulla legge islamica, escludendo la laicità dello stato. Il rischio concreto è la minaccia della sicurezza dell'apparato statale e l'unità della nazione, senza le quali il futuro delle giovani generazioni, ma non solo, appare fortemente compromesso. Tuttavia il ministro della difesa ha affermato che le forze armate resteranno un argine contro questa deriva, ed in quest'ottica va visto il dispiegamento dell'esercito per proteggere gli obiettivi più sensibili del paese, come il canale di Suez, considerato fondamentale nelle infrastrutture dello stato. Tra i militari è molto sentito il problema del diritto dei cittadini a manifestare il proprio dissenso e gli eventuali ordini impartiti alle forze armate per mantenere la sicurezza: il confine tra protezione e repressione appare in casi di esasperazione molto labile, ma nell'esercito vengono vissute con disagio le direttive che impongono l'uso della forza contro i manifestanti. Occorre dire che all'interno dei militari le idee di matrice islamica, che hanno portato al potere i Fratelli Musulmani, non hanno mai attecchito e che lo spirito delle forze armate è sostanzialmente laico. Proprio per questo i rapporti con i partiti al governo non sono dei migliori, l'apparato militare avrebbe preferito una vittoria di quella che ora è l'opposizione per una serie di ragioni sia di politica interna che estera. L'invasività nella vita civile dei partiti confessionali, incapaci di trovare una sintesi con le forze laiche, ha parzialmente isolato i militari dalla vita dello stato, dove prima svolgevano un ruolo da protagonista, confinandoli all'interno dei loro esclusivi compiti istituzionali, ma i militari, mantenendo una sorta di imparzialità durante la primavera araba, hanno evitato derive pericolose, limitando, anche se non del tutto, gli episodi di violenza. Grazie a questo comportamento credevano di avere meritato un ruolo più attivo nella costruzione del nuovo stato, sorto dalla fine della dittatura di Mubarak, ma la diffidenza dei vincitori della tornata elettorale, ben consci della loro laicità, ne ha limitato il raggio di azione. Soltanto la situazione attuale, sempre più incerta, che determina una sostanziale ingovernabilità, può ridare ai militari un ruolo di bilanciamento del sistema, che pareva perduto. Ciò è quello che teme la parte al potere e ciò che potrebbe auspicare quella all'opposizione: la trasformazione dello stato egiziano in una sorta di teocrazia, tra l'altro avvenuta in modo subdolo, può fare superare ai partiti politici sconfitti, eredi di quei movimenti laici messi fuori legge da Mubarak, la sfiducia nelle forze armate in quanto espressione dello svolgimento del ruolo di braccio armato del dittatore. Pur essendo vero che i militari, ad un certo punto della ribellione, hanno operato una inversione di rotta nei confronti di Mubarak, sostanzialmente abbandonandolo sotto la spinta della folla, dopo averlo inizialmente protetto, successivamente hanno dimostrato con i fatti la loro propensione verso la costruzione di uno stato non confessionale, come scelto dalla maggioranza degli egiziani. Anche nella politica estera, l'allontanamento dagli USA, non è ben visto dai militari, che potevano contare su forme di collaborazione e rifornimento di armi da Washington, ora sostanzialmente sospese, per l'indirizzo assunto dal governo de Il Cairo. Se un colpo di stato non è pensabile, appare però non improbabile la ricerca del riconoscimento di un ruolo meno defilato nella gestione dello stato, sopratutto in ragione di una effettiva impossibilità del potere politico di gestire il diffuso malcontento, che si sta materializzando sempre più spesso con manifestazioni di dissenso. Se le forze armate o la situazione contingente riusciranno ad obbligare le forze governative a trovare un accordo con i militari, l'indirizzo fortemente confessionale preso dall'Egitto potrà senz'altro essere mitigato, con aperture favorevoli anche per l'occidente in una parte nevralgica, per la pace nel mondo.
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