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mercoledì 20 febbraio 2013
Israele: Tzipi Livni guiderà i negoziati con i palestinesi
In un Israele minacciato dall'Iran, dagli Hezbollah e dalla situazione siriana, l'incaricato a formare il nuovo governo, l'ex premier Benjamin Netanyahu, compie una scelta pragmatica per una possibile e sempre più necessaria soluzione della questione palestinese. L'incarico, che dovrebbe essere affidato, secondo gli ultimi accordi, a Tzipi Livni come Ministro della Giustizia, comprenderà anche la ripresa della conduzione dei negoziati di pace con i palestinesi. Si tratta di una scelta che può apparire sorprendente, la Livni ha avversato negli ultimi anni, l'azione di governo del Premier incaricato, dai banchi dell'opposizione, tuttavia per Netanyahu l'incarico alla nuova ministro è un passo obbligato per cercare di formare un governo che comprenda la maggior parte dei settori della società politica israeliana. Questa necessità è dettata dall'isolamento internazionale in cui il paese israeliano si è gettato, per le posizioni oltranziste ed oltremodo rigide, proprio tenute nei confronti della questione palestinese. La scelta della Livni, unita alla volontà dichiarata di mettere fine al conflitto con i palestinesi tramite la ripresa del processo di pace dovrebbe andare nella direzione tanto auspicata dagli Stati Uniti, di due stati per due popoli. Se le premesse sono queste il fatto è senz'altro positivo, anche se Benjamin Netanyahu ha spesso abituato a promesse non mantenute mediante sfacciati voltafaccia. L'attribuzione della direzione dei negoziati di pace ad un nuovo soggetto, rispetto agli assetti politici precedenti, come la Livni dovrebbe garantire però una intenzione sincera, non fosse altro che per la sopravvivenza del nuovo governo israeliano, necessaria per ridare stabilità ad un paese che ha il grande bisogno di risolvere le proprie questioni interne, legate all'economia in crisi e alla disgregazione del tessuto sociale a causa del declino della classe media, che soffre di una distribuzione del reddito sbilanciata. Ma la nomina della Livni, proprio perchè gradita ad Abu Mazen, USA ed Unione Europea, non è altrettanto apprezzata dai conservatori ed ultraortodossi, che restano comunque un alleato importante di Netanyahu. Il primo scoglio dell'azione della Livni sarà, infatti, la condizione essenziale posta dai palestinesi per riprendere i negoziati: la fine dei programmi di insediamento delle colonie nei territori palestinesi. Si tratta di un tema che suscita grandi reazioni in entrambe le parti e che Benjamin Netanyahu è ben felice di non trattare in prima persona e delegare ad altri. Su questa questione spinosa, potrebbe esserci la trappola per la Livni, che è pur sempre stata nel passato una rivale di Netanyahu e verso la quale l'ex capo del governo non può nutrire di colpo la piena fiducia, usata dal premier in pectore come soggetto sul quale scaricare un possibile fallimento dei negoziati e quindi riprendere la sua politica anti palestinese, con una piena giustificazione. Sulla reale sincerità di Benjamin Netanyahu sull'attuazione della definizione della questione palestinese da concludere con la formazione dei due stati, vi è infatti, più di un dubbio. Nella scorsa legislatura le occasioni, se non per concludere, almeno per arrivare ad un punto avanzato delle trattative ci sono state tutte, ma sono state puntualmente disattese con una politica repressiva ed arrogante contro i palestinesi, ampiamente sostenuta dai partiti ultraortodossi ancora presenti nella prossima coalizione di governo. Questa situazione di equilibri politici è però variata, grazie all'affermazione del nuovo partito di centro di Yair Lapid, meno propenso alle concezioni agli ultraortodossi. Il nuovo scenario politico israeliano riduce quindi i margini di manovra di Benjamin Netanyahu, che, tuttavia, potrebbe tentare qualche nuova invenzione per andare avanti nella politica degli insediamenti. Per capire le reali intenzioni del futuro capo del governo occorrerà attendere i reali spazi che saranno concessi alla Livni, tenendo presente che l'elettorato, pur guardando con attenzione alle questioni della sicurezza nazionale, ha espresso maggiore preoccupazione per i problemi interni, la cui soluzione passa anche attraverso la definizione della questione palestinese.
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