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martedì 9 aprile 2013
Il segretario di stato USA in cerca di idee per risolvere la questione palestinese
Gli Stati Uniti sono i principali interessati, oltre alle parti in causa, alla risoluzione del problema palestinese, ma, al momento, non hanno soluzioni per sbloccare la trattativa che è, di fatto, arenata dal 2010. Con questi presupposti poco incoraggianti e quindi con pochi mezzi concreti, il segretario di stato americano John Kerry sta cercando di sondare gli stati d'animo delle due parti, attraverso la visita ufficiale che sta compiendo nel paese israeliano. Per usare un eufemismo è stata coniata la definizione di diplomazia discreta, cioè una serie di contatti quasi ufficiosi per cercare di elaborare una nuova strategia che faccia compiere qualche avanzamento al processo di pace. In realtà si tratta dell'ammissione pratica che la diplomazia americana, tradizionalmente al centro della questione, sta brancolando nel buio, non sapendo come sbloccare una situazione ormai ferma da troppo tempo. Ai giornalisti Kerry ha detto che sarebbe da irresponsabili non esplorare completamente le possibilità di progresso; una frase che chiarisce come a Washington manchi una via d'uscita nel modo più assoluto. Nonostante questa chiara consapevolezza che espone il segretario di stato ad una non certo bella figura, gli USA sono obbligati a ricercare una soluzione perchè ritengono strategico e centrale, per la loro politica estera, l'avanzamento del processo di pace. Ciò è essenziale per affrontare in maniera differente e con meno patemi d'animo la questione del nucleare iraniano, che si sta trascinando da troppo tempo e per la di cui soluzione, non si può trovare una strategia senza la risoluzione definitiva del problema israelo palestinese. Al contrario la creazione, o almeno l'avvio, dello stato palestinese permetterebbe agli Stati Uniti di togliere uno degli alibi su cui si fonda la propaganda di Teheran. Ma la diffidenza maturata tra israeliani e palestinesi, già di per se presente, ed aumentata dopo il 2010, resta l'ostacolo più difficile da superare. Kerry sta muovendosi a fari spenti, con la consapevolezza che il governo americano, al momento, non ha elaborato alcun piano che riesca a convincere le rispettive parti a muoversi dalle loro posizioni. Per cui il compito del segretario di stato, oltre che improbo, è, alla fase attuale, soltanto quello della raccolta di informazioni, nella speranza di ottenere qualche indicazioni utile. Si tratta, vista sotto questa ottica, di un tentativo disperato quanto inutile, giacchè alla casa Bianca conoscono bene lo stato dell'arte della questione. Il problema resta sempre il medesimo: l'invasione israeliana dei territori palestinesi, avvenuta in spregio agli accordi esistenti ed anche al buon senso oggettivo. Del resto la posizione di Abbas è rimasta ferma da tempo: il punto di partenza è il congelamento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania ed a Gerusalemme Est. Netanyahu va nella direzione opposta, sia per antico convincimento, sia per il successo alle recenti elezioni di formazioni che nel loro programma hanno proprio l'espansione degli insediamenti. Il pensiero di Obama è sempre stato quello di ritornare al trattato del 1967, ma non può spingere troppo su questa linea perchè ha bisogno di controllare Tel Aviv, evitando iniziative autonome contro l'Iran, che costringerebbero gli americani ad un intervento obbligato al fianco di Israele, ma tutt'altro che voluto. Del resto l'atteggiamento di Obama, nel nuovo mandato presidenziale è dovuto mutare, facendosi meno freddo verso Netanyahu, proprio per impedire l'attacco unilaterale contro Teheran più volte minacciato. Probabilmente senza la minaccia nucleare iraniana gli USA avrebbero un margine di manovra maggiore per imporre la loro visione dei due stati, ma per il momento sono sotto scacco. Questa constatazione dimostra, tra l'altro, che l'atteggiamento iraniano danneggia in maniera decisiva le ambizioni palestinesi per la costruzione del proprio stato. Tuttavia l'esigenza di risolvere la questione resta fondamentale, ma al momento è affidata esclusivamente alle capacità ed all'ingegno di Kerry, che ha per le mani uno dei casi diplomatici storicamente di più difficile soluzione.
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