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martedì 2 aprile 2013
La disoccupazione aumenta in Europa
La cifra è impressionante: ben 26.338.000 persone all'interno dell'Unione Europea sono disoccupate, di queste 19.071.000 sono quelle dove la moneta corrente è l'euro. Si tratta di dati allarmanti che rivelano l'inefficienza delle politiche economiche comunitarie, eccessivamente basate su parametri di rigore miope. L'impatto sociale che si annuncia è tremendo, sopratutto perchè il fenomeno è in rapida crescita, infatti dal febbraio 2012 al febbraio 2013, all'interno dell'area dell'euro, si è passati da un dato del 10,9% ad uno del 12%. Questi numeri rappresentano anche una sottrazione di risorse per un mercato già asfittico, che determina una ulteriore compressione dei consumi, che genera un avvitamento anche per le entrate sia dirette che indirette, delle fiscalità dei singoli stati. Particolarmente grave la disoccupazione negli stati dell'europa meridionale, che rivela una situazione non più sopportabile, anche politicamente, come si è visto dal successo dei movimenti populisti e regionali ed anche da un risveglio della destra estremista e xenofoba. Il fenomeno dovrebbe esercitare l'adeguata pressione per fare rivedere a Bruxelles regole economiche che stanno portando parte del continente verso la stagflazione. Senza adeguate revisioni degli obblighi finanziari, gli stati sono bloccati e non riescono a dare un impulso per fare ripartire l'economia. La fase storica che stiamo attraversando richiede l'abbandono delle politiche liberiste per riabbracciare i principi keynesiani dell'intervento pubblico, da dirigere nelle infrastrutture vero volano economico. L'abbassamento della disoccupazione deve costituire il primo punto dei programmi economici comunitari, ma non deve essere l'occasione per instaurare legislazioni sul lavoro restrittive dei diritti e delle tutele, con la scusa di favorire l'occupazione. Il lavoro deve essere rilanciato all'interno di regole ben definite per evitare l'ormai altissimo rischio sociale. Tuttavia non sarà agevole conciliare le esigenze dei paesi mediterranei, dove la Grecia è al 26,4% e la Spagna al 26,3%, con quelle dei paesi con percentuali notevolmente più basse come l'Austria, al 4,8%, o la Germania al 5,4%. D'altra parte senza alcun intervento la possibilità dell'euro a due velocità potrebbe prendere maggiore consistenza, ma ciò determinerebbe una svalutazione nelle nazioni con maggiore disoccupazione e quindi uno spostamento verso questi paesi della produttività a discapito proprio dei paesi con meno disoccupazione. Una soluzione del genere potrebbe, nel breve periodo, mantenere sostanzialmente uguale il dato complessivo, variato solo nella sua distribuzione territoriale. Se è vero che nei paesi del nord europa il sistema sociale offre maggiori coperture, la persistenza del fenomeno potrebbe portare a sua volta a svalutazioni anche nei paesi più ricchi per recuperare quote di mercato, tornando alla situazione di partenza. Un tale risultato, alla fine non sarebbe quindi risolutivo, anche perchè se inquadrato in una logica più globale e competitiva su scala mondiale sarebbe certamente perdente. Si ritorna quindi da capo, alla necessità di provvedimenti di lungo periodo che permettano una lotta strutturale alla disoccupazione. Se la necessità del rigore finanziario è stata ampiamente constatata, una dilazione dell'applicazione dei parametri su tempistiche più lunghe, potrebbe essere una leva di partenza per permettere una piccola ripresa su cui innestare misure di più largo respiro. Se spaccare in due la zona euro non risolve la questione è importante andare nella direzione opposta rafforzando la moneta unica per arrivare ad una maggiore distribuzione della ricchezza continentale, unica medicina per combattere il fenomeno della disoccupazione.
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