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venerdì 3 maggio 2013

Gli USA potrebbero rifornire di armi i ribelli siriani

Gli Stati Uniti aprono timidamente alla possibilità di fornire direttamente armi alle opposizioni siriane in lotta contro il governo di Damasco. Quello che ha contraddistinto fino ad ora la posizione americana, sulla questione siriana, è stato un atteggiamento improntato al non intervento diretto, con l'unico limite di vietare ad Assad l'uso delle armi chimiche. Questo confine è stato definito la linea rossa dell'amministrazione Obama nei confronti del dittatore siriano, in realtà non pochi commentatori hanno ridefinito la cosidetta linea invalicabile da rossa a rosa, per la scarsa fermezza dimostrata dagli USA, proprio in presenza di prove certe dell'uso di armi chimiche da parte dell'esercito regolare. In realtà vi sarebbero sospetti anche su alcune delle formazioni che compongono l'eterogenea forza di opposizione. Washington è stata sollecitata diverse volte sulla possibilità di un intervento diretto proprio in ragione della violazione del limite sull'uso delle armi chimiche, ma le risposte della Casa Bianca sono parse balbettanti ed insicure. Probabilmente gli Stati Uniti quando hanno fatto questa minaccia di intervenire nel conflitto, stimavano che la caduta di Assad sarebbe arrivata prima della necessità di un coinvolgimento americano, dando poche chance ad un regime che pareva destinato alla sconfitta sicura; ma il perdurare della guerra civile ha dato forza ad Assad, anche in virtù di una opposizione tenuta insieme soltanto dalla avversione contro la dittatura e senza un progetto politico comune, anche solo di base. Le reali intenzioni di Washington sono di non intervenire sul terreno siriano, a meno che non si raggiunga un accordo nella sede del Consiglio di sicurezza, cosa praticamente impossibile per l'opposizione ferma della Russia. Gli Stati Uniti si trovano così nella scomoda posizione di chi ha minacciato un azione senza avere la reale intenzione di metterla in pratica; nonostante questo, l'evoluzione delle tante situazioni che si presentano nella regione obbligheranno Washington ad una decisione definitiva, anche se troppe incognite pesano sulla strada da prendere. La variabile fondamentale è costituita dalla frammentazione delle forze che compongono l'opposizione, sia nel caso di intervento diretto, che solo per quanto riguarda la possibilità di fornire armi, gli USA dovranno fare delle scelte selettive per non rinforzare quei gruppi, che in un futuro più o meno prossimo, potrebbero diventare nemici, sopratutto nell'ottica di un conflitto preventivo contro l'Iran. Washington vuole evitare a tutti i costi che si impongano quelle fazioni che aspirano ad instaurare una teocrazia, seppure di tipo sunnita, troppo incentrata sull'applicazione della legge islamica, situazione preferita, al contrario, dagli stati del Golfo, come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Oman, che stanno già rifornendo di armi proprio questa parte dell'opposizione, nell'ottica della politica anti iraniana ed anti scita. Nonostante l'alleanza, piuttosto stretta dei paesi del Golfo Persico di matrice sunnita, con gli Stati Uniti, il loro atteggiamento, contrario alla politica americana nella regione, rappresenta una ultriore variabile nel processo decisionale che dovrà essere adottato. Per ora gli USA non hanno apertamente manifestato contrarietà alle manovre dei potenti ed essenziali alleati sunniti, ma in futuro, dovranno quanto meno cercare una soluzione condivisa che finirà per non accontentare nessuno. Con il conflitto preventivo contro l'atomica iraniana alle porte, Washington deve scegliere un atteggiamento il più morbido possibile, per evitare di scontentare ogni alleato presente sulla scena, ma, deve altresi, preservare i propri obiettivi, che sono essenzialmente quelli di cercare di evitare contaminazioni religiose sulle strutture politiche, come avvenuto nelle primavere arabe. Nell'attesa ed in concerto con la Gran Bretagna, che si è dichiarata aperta ad ogni possibile soluzione, gli USA si stanno adoperando affinchè i propri alleati della UE eliminino l'embargo sulle armi verso la Siria per dare una parvenza di legalità ad un rifornimento probabilmente già in atto. Ciò costituisce un atto politico che sulla scena diplomatica servirà a permettere all'amministrazione Obama di prendere tempo per elaborare una nuova strategia per la Siria.

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