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venerdì 7 giugno 2013

Il ritorno di Erdogan rischia di inasprire la situazione in Turchia

Il ritorno di Erdogan in patria non ha contribuito a calmare gli animi, anzi, il premier turco ha invitato i propri sostenitori a difendere le scelte del governo. Una condotta tutt’altro che responsabile, che mostra, come affermato dai manifestanti presenti nel parco simbolo della contestazione, il volto autoritario di un governo, che ha imboccato una strada di repressione. La mancanza di un comportamento diplomatico, anche solo imposto da una scelta tattica, evidenzia una deriva illiberale, mostrando nella sua interezza che la Turchia si è adattata al comportamento dei regimi islamici usciti vincitori dalle primavere arabe e non il contrario, come veniva auspicato dal mondo occidentale. Quello che appare è che il paese turco abbia percorso, o stia percorrendo, alla rovescia il cammino intrapreso dall’Egitto. Affermare che le proteste in corso, che vanno ben aldilà della difesa dalla speculazione di un parco, abbiano perso il loro carattere democratico per assumere una connotazione di vandalismo, evidenzia come Erdogan non voglia considerare le ragioni a causa delle quali le dimostrazioni sono deflagrate. Imporre uno stile di vita sempre più improntato all’osservanza di precetti religiosi non condivisi dall’intero corpo sociale, stravolgendo i modi di vita tendenzialmente laici di un paese, potrà servire ad ingraziarsi le autorità confessionali ed anche rappresentare il mezzo per ottenere sempre maggiori accrediti dai paesi che portano avanti queste tendenze e per i quali la Turchia ambisce ad essere una nazione guida, ma ben diverse sono le considerazioni che devono essere fatte se si vuole guardare alla politica interna. La vittoria elettorale conseguita grazie a regole democratiche del partito al governo, non si basava sull’impostazione attuale che si vuole dare al paese, significativo è, a questo riguardo, il disaccordo che sta maturando negli stessi ambienti del partito del premier, per questa improvvisa accelerazione confessionale. Erdogan, nel non riconoscere gli errori della sua condotta ed ostinandosi a non trovare soluzioni di compromesso, sta esprimendo reazioni preoccupanti, compiute da altre personalità politiche protagoniste di condotte autoritarie; anche il ricorso al fatto che tra i dimostranti vi fossero dei terroristi infiltrati, rappresenta un refrain già visto, un modello consolidato che mira a delegittimare la protesta con la scusa del sovvertimento dello stato, manca soltanto il richiamo all’accusa a fantomatiche potenze straniere per completare il consueto apparato per dequalificare le ragioni della cittadinanza. Ma la cosa più negativa è alimentare lo scontro di piazza mediante il ricorso ai propri sostenitori, che potrebbe degenerare in gravi incidenti. Intanto sono stati compiuti in gran numero arresti di appartenenti all’estrema sinistra ed agli indipendentisti curdi. Il vero problema della Turchia, che appare in tutta la sua drammaticità, è l’enorme concentrazione di potere presente nelle mani del partito di maggioranza e che fa del paese una democrazia attualmente incompiuta. Nel frattempo la comunità internazionale, in special modo Stati Uniti ed Unione Europea, hanno invitato il governo turco a mantenere un atteggiamento moderato; Washington ha esplicitamente condannato la brutalità della polizia turca. In questo quadro le ambizioni della Turchia ad entrare in Europa rischiano di diventare molto prossime allo zero, confermando i dubbi di chi si è sempre opposto al nuovo membro della UE.

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