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giovedì 25 luglio 2013

Gaza vittima della situazione egiziana

L’azione del governo Mursi, prima, e del nuovo governo instauratosi dopo il colpo si stato militare, dopo, ha danneggiato in modo serio la già compromessa economia della striscia di Gaza. Si stima che circa l’ottanta per cento dei tunnel sotto il Sinai, attraverso i quali transitavano le merci essenziali per la vita della popolazione palestinese, siano stati distrutti per prevenire gli attacchi terroristici contro le forze egiziane. L’aumento dei prezzi sui generi di prima necessità e la scarsità di carburante e forniture varie si sta già registrando abbondantemente, contribuendo ad innalzare la tensione sociale nel territorio amministrato da Hamas. Il peggioramento delle condizioni umanitarie, conseguenza dell’aggravamento dell’economia, rischia così di diventare un pericoloso detonatore in una situazione da sempre sull’orlo del baratro. Nonostante l’attenuazione delle misure restrittive imposte da Israele sui transiti in entrata ed in uscita delle merci , la popolazione di Gaza, che è di circa 1,7 milioni di persone, soffre una situazione economica difficile, che ha determinato un tasso di disoccupazione intorno al 32%. Si calcola che la demolizione delle gallerie ha provocato un costo sull’economia della striscia di circa 175 milioni di euro, pari al 10% del PIL. In questo momento Gaza si sente schiacciata da due parti, se Israele rappresenta il nemico storico, l’azione dell’Egitto, intensificata dai militari, rappresenta una pressione difficilmente tollerabile. Il nuovo governo egiziano rischia di essere messo sullo stesso piano di Israele, anche per i contatti tra Tel Aviv ed Il Cairo, che sono ripresi dopo la caduta di Mursi. Non è certa da escludere che dietro la demolizione delle gallerie vi sia un accordo proprio tra i due governi, che mirano a reprimere il movimento di terroristi dalla striscia di Gaza. Tuttavia a questa modalità di lotta contro i miliziani, non è corrisposto un adeguato sostegno all’economia del territorio, in modo da attenuare le ricadute sulla popolazione. Questa politica miope rischia di provocare una nuova ondata di ribellione, che potrebbe comportare azioni armate contro la nazione israeliana, compromettendo il faticoso riavvio del processo di pace, per il quale l’amministrazione USA si sta tanto spendendo. Occorre, pertanto, alleviare la sofferenza economica della striscia con l’apertura di nuove vie per il transito delle merci, che devono essere liberate anche in maniera totale dalle restrizioni israeliane. Da Tel Aviv si attende un radicale cambio di atteggiamento, anche come manifestazione di buona volontà per la ripresa dei negoziati, inoltre per gli israeliani ammorbidire la propria durezza costituirebbe anche un investimento sulla propria sicurezza nazionale e sulla necessità di irrobustire le truppe sul confine meridionale, in un momento di tensione molto forte provocato dalla guerra civile siriana. Più complicata e meno chiara la situazione egiziana: con il paese sull’orlo della guerra civile, il nuovo governo non può confrontarsi con le necessità della striscia per salvaguardare la propria sicurezza. Il traffico dei terroristi che si dichiarano pronti a combattere al fianco degli islamici, costituisce un problema molto rilevante per le forze armate egiziane, tuttavia un qualche segnale teso ad alleviare la grave situazione economica provocata dalla distruzione dei tunnel, sarebbe auspicabile per allentare la tensione che sta montando a Gaza anche contro il paese egiziano.

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