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lunedì 15 luglio 2013

La rilevanza delle proteste ambientali in Cina

Il fenomeno, sempre più esteso, dell’ambientalismo nel sud est asiatico incomincia ad ottenere sostanziosi risultati anche sul territorio cinese. Se in contesti di maggiore democrazia come Taiwan e Corea del Sud, la sempre maggiore centralità delle questioni ambientali nei dibattiti politici interni è più comprensibile, la presa d’atto del governo cinese della sempre maggiore sensibilità circa questi temi, rappresenta un elemento di novità nel rapporto con la società civile. La crescita sempre più consistente di una classe media più colta e con più mezzi economici e quindi sempre più influente nel tessuto sociale cinese, anche all’interno, comunque, di un regime non certo democratico, ha obbligato i dirigenti del nuovo governo della Cina alla considerazione della portata e dell’influenza dell’argomento, soprattutto se legato alla pace sociale ed alla volontà di non offrire pretesti per eventuali contestazioni, prevenendo, in definitiva, potenziali occasioni di conflitto con le autorità. Alla luce di queste considerazioni deve essere considerato un caso esemplificativo la cancellazione di un progetto sul quale le autorità del paese avevano investito molto per potere ridurre la dipendenza energetica dal carbone. Si prevedeva di costruire un sito per l’arricchimento dell’uranio, con un budget di ben 4.600 milioni di euro, che avrebbe permesso la produzione di 1.000 tonnellate di uranio arricchito, che entro il 2020 poteva permettere alla Cina di incrementare la sua energia atomica dai 12 gigawatt attuali ai 60-70 previsti. Si trattava di un progetto ambizioso che avrebbe potuto consentire un salto nella produzione di energia elettrica senz’altro considerevole. Tuttavia le manifestazioni fatte in nome del diritto alla salute e contro l’inquinamento hanno indotto le autorità cinesi a bloccare l’ambizioso progetto. Le tematiche ambientaliste sono molto sentite in Cina e le dimostrazioni in loro favore non mettono i dubbio la guida del partito comunista, nella maggior parte dei casi hanno solo lo scopo di chiedere miglioramenti ambientali per migliorare le condizioni di salute della popolazione, notevolmente peggiorate negli ultimi anni, specie in alcune zone, a causa della grande spinta dell’industrializzazione di cui il paese è stato protagonista. Queste manifestazioni nascono senza una rivendicazione politica che possa minare il sistema, anche se contengono in se stesse motivi che potrebbero potenzialmente scatenare ed incanalare la protesta espressamente contro le istituzioni cinesi. Il nuovo corso della politica di Pechino è ben conscio di questi pericoli e preferisce limitarsi ai primi danni, anche in ossequio alle promesse di considerare sotto una nuova luce le rivendicazioni che comprendono anche la lotta alla povertà, alla corruzione, all’istruzione ed alla proprietà. Si tratta di tematiche, che giunte a quelle dell’ambiente e della salute sono strettamente connesse, perché spesso sacrificate, al modello di crescita cinese che ha fino ad ora contrassegnato la crescita a due cifre della Repubblica Popolare Cinese. Le autorità che compongono il nuovo governo hanno dimostrato di avere capito, che se intendono preservare le istituzioni così come sono, devono cedere qualcosa, pena il pericolo di continue manifestazioni che avrebbero come primo effetto quello di ricadere sulla stabilità produttiva. Questo punto di equilibrio può essere raggiunto mediante una crescita economica più lenta e meno esasperata, per conciliare le esigenze produttive con un innalzamento della qualità generale, anche attraverso l’applicazione di criteri di maggiore trasparenza amministrativa che possano includere forme di partecipazione alle decisioni, che prevedano il coinvolgimento diretto dei cittadini, per non calare dall’alto decisioni spesso impopolari. Se siamo ancora lontani da una democrazia partecipativa, il canale ambientale dimostra che anche in Cina, si possono aprire spiragli che permettano di attenuare la rigidità burocratica del sistema politico.

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