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martedì 9 luglio 2013
Offensiva diplomatica turca contro la deposizione di Mursi
Nell’offensiva diplomatica che la Turchia di Erdogan sta conducendo contro quello che è visto come il colpo di stato egiziano ed in favore della liberazione del deposto presidente Mursi, non si possono non notare tutte le paure del governo di Ankara per la svolta in senso laico, che sta avvenendo ad Il Cairo. La Turchia è stata la nazione che ha accolto l’elezione di Mursi con maggiore calore, proprio per la svolta in senso confessionale che l’Egitto poteva prendere e molto simile, seppure con rilevanti distinguo, a quella che Erdogan sta cercando di imporre entro i propri confini statali. Del resto proprio la Turchia costituiva un esempio da seguire per lo stato egiziano appena liberatosi da Mubarak: uno stato in ascesa economica, con la pesante influenza del passato avuta dalle forze armate considerevolmente ridotta e con un assetto istituzionale, seppure moderatamente laico, improntato ai valori dell’Islam. Tuttavia le condizioni della Turchia, che venivano da anni di profonda laicizzazione dello stato all’interno di una democrazia che pareva ormai assimilata dai soggetti sociali, erano profondamente differenti da quelle egiziane, contraddistinte da anni di dittatura, che avevano bisogno di processi graduali e, soprattutto, condivisi da tutte le forze politiche. Ma nonostante queste differenze i due stati si guardavano con sentimenti di simpatia reciproca per la volontà di incamminarsi su percorsi analoghi, che mettessero la religione al centro dei processi legislativi e dei costumi della vita sociale. Entrambi i paesi sono stati attraversati da pesanti contestazioni proprio per l’invadenza religiosa all’interno delle istituzioni, mal sopportata dalle forze laiche, ma, mentre in Egitto il processo di marginalizzazione delle forze armate non si era affatto concluso, permettendo così il ritorno dell’esercito sulla scena politica, in Turchia l’apparato militare è rimasto al proprio posto permettendo ad Erdogan di rimanere al vertice dello stato. Questo non significa che ad Ankara non temano una svolta politica che permetta, almeno, l’attenuazione dell’influsso confessionale nei costumi e nella vita di tutti i giorni. L’esempio egiziano cade al momento meno opportuno per il governo turco, che sul piano internazionale, perde il suo maggiore alleato, Mursi appunto, nella visione politica permeata dall’islamismo. In realtà le analogie, pur presenti, sono soltanto sullo sfondo per la profonda differenza delle due società, con la Turchia ben determinata ad entrare in Europa e quindi con una società più modernizzata, ma proprio questo fattore pesa sulle manifestazioni di piazza di Istanbul, che sono state caratterizzate dalla difesa di una società più laica. Erdogan ha sollecitato i suoi canali diplomatici con gli USA, UE, Arabia Saudita e Qatar, per ottenere una condanna dell’azione dei militari egiziani, senza, avere risposte concrete. Soprattutto la delusione maggiore è giunta dagli stati del Golfo, che hanno espresso giudizi positivi verso il governo provvisorio egiziano, una posizione percepita dalla Turchia come un sostegno indiretto al colpo di stato. I tre stati, Turchia, Arabia Saudita e Qatar, hanno negli ultimi tempi collaborato in modo molto stretto per la questione siriana, condividendo una visione comune a sostegno dei ribelli che lottano contro Assad, se queste divergenze dovessero acuirsi, gli effetti potrebbero andare in favore del dittatore di Damasco.
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