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Politica Internazionale
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venerdì 30 agosto 2013
La scarsa azione dell'ONU richiede una riforma radicale dell'organizzazione internazionale
Quasi finito il lavoro degli ispettori ONU, che devono accertare l’impiego di armi chimiche in Siria. I campioni raccolti verranno inviati a diversi laboratori in Europa, che dovrebbero impiegare alcuni mesi per elaborare i risultati e stilare il rapporto definitivo. In tutto questo tempo, probabilmente, si continuerà ad incrementare la fredda statistica delle vittime, che ha già oltrepassato una quota purtroppo considerevole, ed anche quella dei profughi, che sono al momento, oltre il milione di persone. Per non parlare delle indicibili sofferenze procurate sia agli adulti che ai bambini, sottoposti ad uno stato di continua tensione e soggetti a carenze igienico sanitarie ed alimentari oramai divenute proibitive. Quella siriana non è certo la prima guerra e purtroppo non sarà neppure l’ultima, ma ancora una volta mette in risalto tutta la debolezza dell’impianto delle Nazioni Unite, che sconfina nella sua inutilità più totale. Con l’ONU si è costruito quanto di più vicino si poteva avere per cercare di dare un governo mondiale, che dovesse essere in grado di risolvere le controversie mondiali, per tutelare le popolazioni vittime di conflitti, carestie e disastri. Ma sotto questo aspetto il bilancio è negativo. I grandi limiti organizzativi e giuridici, la stessa legislazione internazionale, volutamente incompleta per asservire interessi particolari, hanno concesso poco spazio ad una azione, che doveva essere necessaria in più di una occasione. Anche sul piano diplomatico, dove i margini di manovra potevano essere leggermente più ampi, spesso gli uomini delle Nazioni Unite hanno ottenuto ben scarsi risultati. Un elemento essenziale nella parabola discendente della reale importanza delle Nazioni Unite è stata, e continua ad essere, la scarsa attitudine dell’organizzazione ad adeguare la propria struttura all’evoluzione dei nuovi equilibri mondiali. L’ente sovranazionale, creato alla fine della seconda guerra mondiale, ha mantenuto gli equilibri e gli assetti di quasi settanta anni prima, un tempo da era geologica rispetto alla velocità dei cambiamenti geopolitici ed economici, che si sono susseguiti, specialmente negli ultimi anni. La struttura operativa, il Consiglio di Sicurezza, continua a restare ostaggio dell’istituto del diritto di veto, che può bloccare ogni decisione necessaria, generando delle immobilità, che spesso si sono rivelate decisive , mettendo a nudo tutta l’inutilità dell’intera struttura. Il caso siriano dimostra, ancora una volta, come una riforma da attuare in tempi brevi sia necessaria per dirimere con efficacia questioni delicate nelle quali occorre una capacità di intervento risolutiva o almeno sospensiva delle violenze in atto. Ma questa esigenza, che si ripresenta puntuale allo scoccare di ogni nuova crisi, non è assecondata, prima di tutto dagli stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, che temono di perdere uno degli strumenti più efficaci di interdizione in politica estera, e poi da un orientamento generale presente in modo trasversale in tutte le nazioni, perché una riforma efficace presupporrebbe la perdita di quote, anche consistenti, di sovranità internazionale. Negli stati europei aderenti alla UE, proprio l’esempio di fare parte di una organizzazione sovranazionale, che ha imposto la cessione diparti della sovranità dei singoli stati aderenti, ha scatenato un dibattito, anche aspro, dove le istanze, per recuperare le porzioni di sovranità sacrificate all’unione europea, si sono fatte sempre più pressanti, generando anche movimenti politici creati appositamente. Questo esempio, che riguarda una delle parti del mondo che dovrebbe essere più favorevole, per cultura e sviluppo sociale, ad uno sviluppo delle competenze ed operatività delle Nazioni Unite, mette in risalto come la diffidenza a condividere con altri popoli parti della sovranità del proprio stato. Se questo ostacolo appare francamente insormontabile, occorre allora studiare forme alternative fondanti, che permettano lo sviluppo dell’organizzazione nella direzione di una maggiore capacità di intervento. Senza l’abolizione dell’attuale funzionamento del Consiglio di Sicurezza appare però impossibile nutrire alcuna speranza per un governo delle crisi sopra le parti: occorre dare più potere all’assemblea che deve attivarsi su casistiche chiare e ben definite con modalità obbligatorie di sanzione contro chi contravviene alle violazioni delle elementari condizioni minime di vita. I moderni mezzi di telecomunicazione favoriscono l’indagine ispettiva e quindi questo compito e la costruzione di una legislazione, anche particolareggiata, deve diventare l’urgenza attraverso la quale attivare le procedure relative. Una rotazione del Consiglio di sicurezza, composta ad una platea allargata ed elaborata su basi di provenienza geografica, di importanza economica, militare e sociale può permettere di arrivare a decisioni rapide prese nel rispetto della maggioranza della collettività diplomatica e soprattutto a favore della tutela delle popolazioni colpite, per proteggerle da sviluppi come attualmente è quello siriano. Senza queste volontà, che devono essere condivise, il Palazzo di Vetro è destinato a diventare sempre più una istituzione destinata a morire e di conseguenza lasciare all’anarchia formale, oltre che di fatto, i rapporti tra gli stati.
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