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Politica Internazionale
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lunedì 9 settembre 2013
Cause e torti del pacifismo occidentali
USA e Francia sono i principali assertori dell’intervento armato in Siria e sono accomunate anche dalla contrarietà delle proprie opinioni pubbliche e dall’incertezza di un voto parlamentare, che avverrà di sicuro negli Stati Uniti e che incombe a Parigi. L’esperienza inglese insegna cautela, nulla può essere data per scontata, tuttavia proprio questa particolare avvedutezza nelle mosse istituzionali interne dei due paesi rinsalda e mette come prioritaria l’alleanza tra la Casa Bianca e l’Eliseo. Per Obama il rifiuto ricevuto dal parlamento di Londra, ha significato una sconfitta politica, proprio perché proviene dall’alleato tradizionalmente più fedele. Washington rispetta, ma non comprende del tutto le ragioni inglesi ed il voto contrario non compromette un legame sempre solido, ma nel momento contingente è evidente che Parigi diventa l’alleato principale nella questione siriana. Se è impensabile che la Francia scalzi l’Inghilterra da alleato principale degli americani, diventa altrettanto evidente che i nuovi rapporti tra Parigi e Washington assumono una importanza particolare anche in chiave futura, sia nella cooperazione militare, che in quella economica. Hollande, pur tra mille contrarietà ha dimostrato, fino ad ora, di avere fatto un investimento ad alto rischio, ma che non potrà portare benefici basati sulla riconoscenza americana. Questa vicenda mette in risalto come anche le alleanze internazionali siano entrate in un movimento più fluido e meno irrigidito, perché influenzate da sempre maggiori fattori. La logica delle ragioni americane viene ora percepita, dagli alleati più stretti di Washington, come meno vincolante e soggetta al giudizio imprescindibile di più fattori, configurando una estensione della democrazia anche su tematiche, che sono state oggetto di pertinenza assoluta degli esecutivi. L’accresciuta importanza della diffusione delle informazioni e del giudizio dell’opinione pubblica, che era presente anche prima, ma non era valutato a dovere, diventa, così, un segno distintivo delle democrazie occidentali, cui concorre, va detto in maniera chiara, anche la difficile situazione economica generale, che non permette più bilanci di spesa come un tempo. I temi bellici vengono così valutati con severità; se questa novità rappresenta una forma di crescita delle democrazie occidentali, contiene, però in se stessa un rovescio della medaglia abbastanza evidente. La lunghezza dei tempi di decisione, l’incomprensione delle ragioni degli stati e dei governi, finiscono così per facilitare quelle nazioni che sono governate da forme di stato soltanto nominalmente democratiche e dove vige una direzione del vertice funzionale al potente di turno. Si capisce così come la battaglia politica tra Obama e Putin sia impari, con il primo, che pure passa per guerrafondaio, è soggetto a vincoli che il secondo nemmeno immagina possano esistere nel suo paese (dove viene fatto sovente ricorso alla censura). Si assiste così a casi singolari dove governanti non certo liberali si ergono a paladini della pace, soltanto per rispondere ad un disegno a loro conveniente. Che nei paesi occidentali vi sia questo sviluppo non può essere che considerato positivo: l’affermazione di sovranità del parlamento inglese contro una decisione del proprio governo non condivisa resta una lezione di democrazia, che si vorrebbe vedere applicata non solo in altre nazioni che si dicono democratiche, ma anche nei regolamenti delle Nazioni Unite, che sono bloccati da veti assurdi. Dunque se il voto contrario dei parlamentari inglesi rappresenta una espressione chiara contro la guerra, ma contiene altresì dei motivi di dubbio che non possono non essere contemplati, perché potrebbero valere per ogni altra nazione e per altri casi analoghi e no di politica internazionale. Il pronunciamento, infatti costituisce un parere negativo ad un intervento armato, senza contemplare alternative, soprattutto se relative ad esigenze di tipo umanitario o preventivo, legato cioè ad una azione contro la diffusione e l’impiego di armi di distruzione di massa. Non è sufficiente, come indicato da molti altri governi, appellarsi alle decisioni delle Nazioni Unite, quando è chiaro che queste sono ostaggio di veti derivanti soltanto da interessi singoli. Quello che manca è il senso di responsabilità delle nazioni più ricche verso la tutela di civili uccisi in maniera indiscriminata, che dovrebbero anche riparare torti antichi derivanti dall’età post coloniale. Si obietterà che questo periodo è troppo lontano nel tempo, tuttavia resta inalterato il dovere di applicare principi che riguardano la salvaguardia della popolazione e che sono inalienabili. Questo aspetto è ancora più vero se si pensa alla negligenza nell’azione diplomatica, quindi non certo militare, che ha accomunato gli stati occidentali, che hanno sottovalutato fin dall’inizio la vicenda siriana ed i suoi sviluppi. Se si vuole rifiutare la guerra come mezzo di stabilizzazione, non basta infatti rinviare il problema soltanto all’ONU, ma occorre un impegno diplomatico in prima persona, che giustifichi il rifiuto militare compensato da una intensa azione negoziale tra le parti. Questo non avviene e classifica, quindi, il pacifismo occidentale soltanto come mero esercizio di rifiuto delle responsabilità.
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