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venerdì 27 settembre 2013
Una riflessione sull'attentato in Kenya
L’attacco al centro commerciale di Nairobi deve porre nuove riflessioni sulla struttura di Al Qaeda. Già prima della morte di Bin Laden, la struttura politica e militare, a seguito dei colpi inferti dagli americani, non era più di tipo centralizzato, ma aveva dovuto subire una variazione obbligata divenendo una struttura policentrica, con centri di comando distaccati ed indipendenti tra di loro, uniti in modo formale dall’autorità di Osama Bin Laden e poi del suo successore, ma in realtà già autonome anche dal punto di vista politico. Il fattore comune resta la diffusione dell’islam più radicale e la lotta all’occidente, adattato, però, alle esigenze locali. In Kenya gli attacchi dei fondamentalisti islamici provengono dalla Somalia, che dopo circa trent’anni di instabilità non ha ancora saputo arginare in modo sufficiente i movimenti armati che ne condizionano la vita. Nairobi è un alleato degli americani, ospita strutture commerciali di proprietà israeliane, come quella dove è stato portato a compimento il sanguinoso attacco ed il suo esercito, prima in autonomia, poi inquadrato in una forza sovranazionale, ha perseguito Al Shabab costringendolo a più di una ritirata. Alcuni analisti hanno visto nell’azione terroristica un segnale di debolezza dell’organizzazione che l’ha compiuta, in effetti questo implica anche un cambio di strategia, che si conforma alle azioni estemporanee, chiaramente slegate da una strategia militare più organica che mira al presidio del territorio. Questa variazione di modalità può essere interpretata, come è stato fatto, come un indebolimento strutturale della formazione terroristica, che schiacciata nel campo aperto, ripiega su azioni eclatanti, tese anche a rinforzarne l’immagine, ma isolate, segnale di un ridimensionamento obbligato. Tuttavia questa opinione non è condivisa in maniera universale, un altro filone di analisti rileva che dietro la complessità dell’attacco esiste una organizzazione di alto livello, che ha compreso anche cittadini occidentali, oltre ad attivisti locali. Questa strategia rappresenterebbe la volontà dei nuovi capi di Al Shabab di essere una organizzazione degna dell’arcipelago jihadista internazionale. Del resto, chi sostiene questa tesi, porta anche come prova la capacità organizzativa, capace di preparare l’arsenale, comprendente fucili mitragliatori, già all’interno del centro commerciale; ed una prova ulteriore è considerata quella di avere aggirato il controllo dei servizi segreti keniani, proprio con l’impiego di cittadini esteri. Questo aspetto rappresenta un cruccio ed un fallimento per le strutture difensive di Nairobi, soprattutto per quelle relative alla prevenzione. Che il Kenya fosse da tempo nel mirino dei terroristi era un fatto certo, ma se il fallimento del controspionaggio keniano è certo, anche quello dei tanti servizi occidentali presenti su di un territorio tanto delicato non è certo da trascurare. La facilità con la quale l’attentato è stato portato a compimento mette in apprensione innanzitutto il paese del Kenya, ma costituisce anche un monito per gli alleati dell’occidente nel mondo intero e gli stessi paesi NATO; la strage di Boston non deve essere dimenticata. Vista con questa ottica sembra che la direzione presa dalla galassia che compone Al Qaeda sia quella di una guerra asimmetrica da condurre sia contro le forze regolari presenti nei paesi musulmani, che da portare all’interno degli alleati dell’ovest ed anche fin dentro i territori delle nazioni occidentali. Pur essendo un progetto ambizioso è stato ampiamente dimostrato come sia relativamente facile metterlo in pratica. Gli unici mezzi di contrasto restano una efficace prevenzione attraverso l’azione di intelligence ed il miglioramento della qualità della vita delle popolazioni più povere, dove attecchisce maggiormente l’integralismo islamico. Non per niente i bersagli in Somalia, ma non solo, sono stati le organizzazioni umanitarie e mediche di provenienza occidentale.
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