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Politica Internazionale
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lunedì 7 ottobre 2013
Dalla crisi dello shutdown alla crisi del ruolo internazionale degli USA
Uno degli effetti collaterali dello shutdown in corso negli Stati Uniti è il quasi totale blocco dell’attività diplomatica americana, in una fase molto delicata relativamente agli interessi di Washington nella zona asiatica. Obama ha da tempo concentrato la sua attenzione verso gli alleati che confinano con la Cina, in una ottica di protezione del commercio occidentale in contrasto con la sempre maggiore iniziativa cinese. Per la Casa Bianca è diventato prioritario stringere accordi commerciali e di collaborazione geopolitica, che includono aiuti anche militari, con gli stati asiatici, in vista della creazione di aree di libero scambio, necessarie per lo sviluppo dell’economia USA. La finalità è duplice stimolare la domanda di beni e servizi americani, anche prodotti in loco, sfruttando il basso costo della manodopera e, nel contempo, osteggiare la crescita cinese nella regione, sia dal punto di vista commerciale che di influenza politica. Pechino ha sempre visto come una invasione di campo l’azione statunitense in una zona, che ritiene debba ricadere sotto la propria influenza. Anche dal punto di vista logistico Washington non può lasciare alla Cina la supremazia delle vie di comunicazioni marittime, ritenute strategiche per lo spostamento delle merci. Tuttavia nonostante queste premesse di grande rilievo, il Presidente degli Stati Uniti ha disertato importanti vertici con i paesi asiatici, che riguardavano proprio questi temi, lasciando che gli USA fossero rappresentati da esigue missioni diplomatiche. Risulta chiaro come i problemi interni, certamente molto pressanti, abbiano una ripercussione non solo sul futuro degli Stati Uniti, ma di tutto il sistema economico occidentale. La paralisi dello stato federale americano può ripercuotersi in modo grave sugli equilibri mondiali, lasciando campo libero ad iniziative cinesi e russe, alla cui conseguenze sarebbe complicato rimediare. Inoltre quello che emerge è un evidente indebolimento del ruolo preminente degli USA sulla scena internazionale. Un paese che non è in grado di risolvere i propri contrasti interni, seppure molto profondi, in maniera rapida, non può più ambire al ruolo di prima potenza mondiale, che deve essere esercitato con la necessaria velocità e presuppone una capacità di intervento addirittura slegata dalle vicende interne. Questo significa che, superata la fase del bipolarismo, a cui è subentrata quella della potenza unica, la direzione intrapresa è quella di un multilateralismo, limitato a pochi soggetti, ricco di incertezze. Si tratta, peraltro, di una direzione impressa dalla storia già in modo chiaro, grazie all’avvento della globalizzazione, dove, però, la posizione americana restava uno dei cardini dello scenario, Gli USA restano uno dei soggetti forti presenti sulla scena, ma quello che si configura è un indebolimento, che pare di natura fisiologica. Se la crescente importanza di altri soggetti, che sono emersi grazie alla loro forza economica è un fatto incontrovertibile, l’implosione americana dovuta alla incapacità del proprio sistema politico di salvaguardarsi, reagendo a corpi tutto sommato estranei, costituisce un elemento di novità assoluta. La profonda radicalizzazione dello scontro di natura sociale e politica, che sta avvenendo negli Stati Uniti, è stata sottovalutata dagli stessi partiti in cui è nata e, soprattutto, non ne sono state previste le conseguenze sia sul piano interno, che su quello internazionale. Democratici e Repubblicani, spesso concordi su diversi temi della politica, si sono progressivamente allontanati, permettendo una importanza sempre maggiore delle loro ali estreme, che sta generando una lacuna profonda, in grado di mettere in difficoltà l’impianto fondante del sistema politico della maggiore nazione del mondo. Se questa tendenza dovesse ancora acuirsi non è irrealistico pensare alla fine del bipolarismo che ha finora governato l’assetto politico del paese, in favore di una frammentazione delle forze politiche, che non potrebbe che complicare la governabilità e la stabilità dello stato. D’altro canto è quello che sta già accadendo senza il fenomeno abbia un inquadramento istituzionale. Per il futuro risulta difficile prevedere che tutto rientri nei binari precedenti: i contrasti interni ai partiti aumenteranno imponendo una drastica trasformazione del panorama politico, che dovrà contemplare ben più dei due soggetti attuali. In questi termini potrebbe diventare più difficile contrastare l’azione di stati non democratici, e quindi non soggetti alle lungaggini talvolta eccessive delle discussioni politiche (come nel caso dello shutdown), con risposte in tempi non ragionevoli. Si comprende che per l’importanza statunitense nell’insieme del mondo occidentale, questa eventualità rappresenta un fattore di sicura preoccupazione, gli USA non sono l’Italia delle infinite trattative o la UE dai limitati poteri, sono il paese, nel male e nel bene, garante di un complesso sistema di tutele contro nuovi poteri che avanzano e che non avranno standard democratici ancora per chissà quanto tempo. Queste prospettive, se gli USA non riescono a risolvere questi problemi da soli, si possono risolvere soltanto con una maggiore collegialità degli stati occidentali, che deve partire da una maggiore autonomia politica e della capacità decisionale di organismi sovranazionali già presenti come l’Unione Europea, che, alla luce di questi sviluppi, deve stimolare la propria crescita proprio in questa ottica.
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