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martedì 1 ottobre 2013

La radicalizzazione dello scontro politico tiene in ostaggio gli USA

La radicalizzazione insensata dello scontro politico è la ragione del blocco delle spese dello stato federale degli Stati Uniti, dove, da oggi, resterà in attività il solo personale con compiti essenziali. Se, a prima vista, lo scontro poteva prefigurarsi tra democratici e repubblicani, ed in un certo qual modo è così, il reale terreno di contrasto è da ricercare tutto all’interno del partito repubblicano. Il più conservatore dei maggiori partiti americani è attraversato da una lotta intestina che lo lacera al suo interno e che, dopo avere impedito di giocarsi tutte le chance durante l’ultima competizione elettorale per eleggere il Presidente USA, lo sta trascinando in una posizione molto scomoda ed impopolare agli occhi dell’intero corpo elettorale a stelle e strisce. Chi tiene in ostaggio il partito è il movimento del Tea Party, massimo concentrato del puro conservatorismo dell’America più profonda, che con i suoi giudizi ha condizionato il movimento repubblicano fino a decretare una deriva fondamentalista, che per portare avanti le proprie idee, non si cura di privare una nazione intera dei più elementari servizi. Quello che è il punto centrale del contendere, la riforma sanitaria cavallo di battaglia di Obama, appare in realtà una scusa per tentare di fare riprendere quota ad un partito diviso ed in forte calo di consensi e popolarità. La strategia del Tea Party è di colpire il presidente in carica proprio sull’argomento a lui più caro: l’estensione delle cure mediche alla maggior parte del popolo americano. Con il ricatto del blocco delle spese si spera così di fare recedere Obama da un programma dal quale non tornerà più indietro, pena legare la sconfitta interna più cocente, come momento identificante dei suoi mandati presidenziali. In questa guerra di nervi, chi ci rimette nell’immediato è il paese, che si trova privato, specie nelle fasce più deboli, di tutti quei servizi che non sono ritenuti essenziali, ma che servono comunque alla collettività. Nel medio e lungo periodo, invece, a rimetterci sarà il partito repubblicano, sia nella sua visione intera, come monolite politico a cui ascrivere la responsabilità del taglio dei servizi, sia le parti che lo costituiscono. Se per i seguaci del Tea Party questa prova di forza non potrà che essere apprezzata, soprattutto nella ristretta cerchia degli aderenti più fondamentalisti, nel resto del partito non può che segnalare l’inizio della fine di quella concezione di destra moderata e patriottica a cui si richiamavano i valori dei repubblicani prima dell’avvento delle tendenze dell’America più profonda e retriva, che si richiama sempre più ad un conservatorismo liberista, dove la concezione dello stato è soltanto quella libera da ogni vincolo verso i propri cittadini, soprattutto quelli di natura assistenziale. Se gli Stati Uniti attraversano un momento drammatico, politicamente il partito repubblicano e soprattutto gli elementi più moderati si trovano in una tempesta totale, cui la migliore testimonianza di questo stato è costituita dall’incapacità di opporsi alla tirannia del Tea Party, per la paura di incorrere negli strali dei suoi esponenti, in vista delle prossime elezioni legislative. I vertici dei repubblicani hanno evidentemente il timore di una scissione all’interno della destra americana, ma così facendo non mettono in conto la responsabilità, che è oggettiva, del partito nel suo insieme di fronte alla nazione americana. Questo episodio, che è comunque in evoluzione e potrebbe avere ripercussioni ancora più gravi sul funzionamento del paese, esplica come anche nella maggiore delle democrazie occidentali sia in atto una radicalizzazione dello scontro tra parti opposte, che denota atteggiamenti sempre più esasperati e privi di logica se non quella di arrivare senza porsi limiti di sorta. Si sta verificando il contrario di quello che dovrebbe essere il presupposto del buon governo: il dialogo continuo e la mediazione a favore del bene comune. Al contrario vengono alzati staccati sempre più alti che non favoriscono la ricerca di terreni comuni. La stessa cosa sta accadendo in Italia ed in altri paesi occidentali e si configura come una malattia delle democrazie più mature, che regrediscono attestandosi su comportamenti sterili che sempre meno permettono di dare il giusto valore a quei requisiti condivisi che dovrebbero essere il fondamento dello stato. Inutile dire che ciò favorisce comportamenti tendenti al populismo e mette in crisi, come anche evidenziato dall’Unione Europea il concetto più alto di democrazia come sistema di convivenza pacifica. Ancora più grave è se questa tendenza viene portata avanti, non da personaggi al di fuori delle istituzioni, ma da esponenti istituzionali, che dovrebbero preservare le garanzie del sistema. Diventa così comprensibile come la missione che l’occidente si era dato, quella di esportare la democrazia, sia bellamente fallita.

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