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giovedì 10 ottobre 2013
Le pressioni USA sull'Egitto
Il blocco degli aiuti americani al governo egiziano, è considerato dall’esecutivo de Il Cairo un grave errore, soprattutto in ottica di lotta al terrorismo. Una delle ragioni per le quali l’esercito ha rovesciato il governo legittimamente eletto di Mursi, è stata proprio l’eccessiva caratterizzazione confessionale di impronta islamica, che i partiti vincitori, specialmente i Fratelli Musulmani, avevano dato al paese. La contiguità che si stava sviluppando con movimenti estremisti, favoriti dall’impostazione dello stato, rischiava di creare in Egitto una teocrazia islamica, di tipo sunnita, che, per la sua posizione al confine con Israele, avrebbe potuto mettere in grave pericolo l’equilibrio della regione mediorientale. Grazie a questo fattore il rovesciamento del governo egiziano, avvenuto con modalità simili ad un colpo di stato, seppure condiviso da larga parte della popolazione, non era stato accolto in modo sfavorevole dai governi occidentali, anche se i modi con cui era stato preso il potere imponevano una certa cautela di facciata. Questo atteggiamento aveva accomunato le cancellerie dei paesi occidentali, con la sola eccezione di Israele, che aveva accolto con entusiasmo, per ragioni evidenti, il cambio di rotta. Dal punto di vista politico questa accondiscendenza dell’ovest ha dato forza ai comportamenti dei militari egiziani, che sono seguiti alla presa del potere. Una intensa attività repressiva, favorita anche dalla mancata collaborazione dei partiti islamisti, che hanno assunto un atteggiamento di totale chiusura verso il nuovo esecutivo, ha contraddistinto la linea dell’esercito, sconfinando in brutalità degne dei peggiori regimi. Le reprimende statunitensi per questo comportamento, ci sono state, ma sono state blande ed hanno, forse, incoraggiato una svolta ancora più illiberale, che ha messo fuori legge la fratellanza musulmana. Di fronte all’opinione pubblica mondiale il comportamento dei militari egiziani, da sempre alleati con gli USA, ha costretto Obama ad intensificare le critiche, fino a mettere in pratica quell’approccio morbido, che vuole essere la principale caratterizzazione della nuova politica estera americana. Per convincere i militari egiziani ad un approccio differente a seguito una metodologia di pressione simile alle sanzioni, soltanto che per penalizzare l’esercito de Il Cairo ha ridotto principalmente gli aiuti militari, ma anche quelli economici, previsti per l’Egitto. Se alle condanne verbali non fossero seguiti atti pratici, probabilmente i militari egiziani avrebbero inteso che dagli Stati Uniti sarebbe giunto un tacito consenso alla campagna repressiva messa in atto. Concretamente il taglio degli aiuti americani dovrebbe riguardare, su di un totale di 1.500 milioni di dollari, 260 milioni di dollari sugli aiuti, 300 milioni di dollari di garanzie sui prestiti ed il blocco di forniture di materiale militare, come gli elicotteri Apache e sistemi missilistici. Si tratta di importi non indifferenti in una economia bloccata dalla instabilità politica, che non può contare sulla grande disponibilità di materie prime e che vede il ricco indotto del turismo praticamente fermo. La reazione dei militari, ovviamente sfavorevole, è stata quella di puntare sul pericolo della crescita del terrorismo, una ragione sempre valida, ma non sufficiente a far rinunciare l’amministrazione Obama dai suoi propositi e specialmente richiedere esplicitamente l’accelerazione del processo di transizione verso un esecutivo meno condizionato dalle forze armate, in un quadro di riforma costituzionale, quale preludio a nuove elezioni legislative e presidenziali. Tuttavia la messa fuori legge dei Fratelli Musulmani, priverà la competizione elettorale di un sicuro protagonista, con il rischio che le elezioni vengano disertate da un numero ingente di elettori. Per Washington la priorità resta comunque che l’Egitto possa abbandonare lo stato di profonda tensione ed abbracciare una democrazia il più possibile libera da condizionamenti confessionali. Soltanto queste condizioni potranno permettere la ripresa completa degli aiuti. Questo non significa che i militari perderanno la loro importanza ed il loro ruolo di fronte agli USA, del resto lo stato che vanno costruendo non potrà fare a meno del loro appoggio, se non a lungo termine. Il processo di democratizzazione dell’Egitto è ancora in fase embrionale e non è detto che eliminate le variabili religiose non si presentino altre forme di turbativa, anche dall’interno dell’esercito stesso; ma una deriva autoritaria, seppure di tipo laico, non garantisce gli interessi americani, altrettanto come una evoluzione dello stato egiziano in senso confessionale. Per Washington è importante potere contare su di un alleato affidabile, ma anche presentabile al mondo e questo interesse è anche funzionale a permettere lo sviluppo democratico in tutta l’area del Mediterraneo meridionale, proprio grazie all’enorme influenza di cui gode il paese egiziano nei paesi arabi del nord Africa. Si comprendono così le pressioni che gli USA stanno esercitando sull’Egitto.
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