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giovedì 3 ottobre 2013

L'opposizione israeliana contesta Netanyahu

L’opposizione israeliana, attraverso la leader del partito laburista Shelly Yachimovich, ha profondamente criticato le parole che il primo ministro Benjamin Netanyahu, ha pronunciato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Secondo il principale esponente dell’opposizione, il premier di Tel Aviv si è troppo focalizzato su di una minaccia che in realtà non esiste; questo atteggiamento provocherebbe un fattore che favorirebbe ulteriormente l’isolamento in cui il paese israeliano sta patendo per l’atteggiamento che sta tenendo nel mancato avanzamento del processo di pace con i palestinesi, soprattutto in relazione alla questione degli insediamenti in Cisgiordania. In effetti l’impressione che la foga messa nel discorso al Palazzo di vetro tenda a mascherare gli intenti di allargare la costruzione di nuove colonie, elemento ritenuto prioritario da alcune componenti del governo. Secondo Yachimovich, anche l’atteggiamento tenuto con gli Stati Uniti, eccessivamente critico per le aperture all’Iran, non rappresenta il modo giusto per collaborare con il principale alleato israeliano, ne dal punto di vista diplomatico, ne per ottenerne la completa collaborazione nella ripresa dei negoziati con i palestinesi, che devono essere il punto centrale dell’azione politica di Israele, perché costituiscono il problema più pressante ed urgente, tuttavia la mancata ripresa delle trattative può significare soltanto che il primo ministro non intende affrontare a breve il nocciolo della questione, caldeggiato anche dagli americani, una pace che si fondi sull’accettazione israeliana della creazione dello stato palestinese. Secondo la leader dell’opposizione i timori verso l’Iran sono esagerati perché Teheran, anche grazie al nuovo corso politico, non rappresenterebbe più una minaccia oggettiva per lo stato israeliano. Piuttosto l’insistenza di Netanyahu a ribadire sempre gli stessi concetti, portandoli all'estremo, significherebbe la volontà di sviare l’attenzione, non solo sui problemi con i palestinesi, ma anche l’incapacità di affrontare la difficile crisi economica in corso nel paese, che dopo le ultime elezioni, non si è affatto attenuata. Occorre ricordare come il mandato principale del corpo elettorale israeliano era proprio quello di risolvere i problemi interni dello stato, i cui più urgenti erano il lavoro, la crisi economica e quella abitativa. Sui primi due punti Israele non ha compiuto sostanziali passi avanti, mentre per quanto riguarda il terzo si è pensato di risolverlo sottraendo ulteriore terreno ai palestinesi, con il risultato di irrigidire le parti, attirarsi le critiche di Washington e della comunità internazionale ed infine incorrere nelle sanzioni europee per i prodotti provenienti dalle colonie. Come si vede dei risultati non proprio positivi che inquadrano Netanyahu, nel suo ruolo di primo ministro come un interprete di scarsi risultati. Tuttavia la strategia di sviare l’attenzione del primo ministro non suscita solo critiche, come quelle provenienti dall’opposizione, ma riesce a fare presa su diversi settori della società israeliana, che dimostra di temere in modo sincero l’Iran e non contempla neppure l’idea di uno stato palestinese; sono questi segmenti, caratterizzati dalla presenza di ultraortodossi e nazionalisti, che assicurano il potere alla coalizione che governa il paese, privandolo della possibilità di potere arrivare ad una pace stabile nel medio oriente , per se stessi e per il mondo.

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