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giovedì 7 novembre 2013

I risultati sulla salma di Arafat, rischiano di alterare gli equilibri tra israeliani e palestinesi

Dunque, secondo i risultati della ricerca degli scienziati svizzeri sui resti del leader palestinese Arafat, sarebbero stata riscontrata la presenza di percentuali anomale, per il suo quantitativo, di polonio, materiale radioattivo capace di procurare la morte di una persona. Arafat ebbe una malattia breve che lo condusse al decesso in un mese, nel novembre 2005, le cause furono attribuite ad eventi naturali, come la vecchiaia, una intossicazione alimentare o la leucemia, espresse, però in modo generico, senza dare ufficialità ad un motivo ben preciso. I dubbi su di un possibile avvelenamento, e quindi di un attentato, che avesse causato la morte di Arafat, furono avanzati dalla moglie del leader palestinese e da ambienti vicini alla dirigenza dell’Autorità Palestinese. Soltanto nel 2011 una inchiesta dell’emittente Al Jazeera riaprì il caso sulla base, proprio, della incerta motivazione della morte del capo storico della resistenza palestinese. Va detto che al lavoro sulla salma di Arafat vi sono altre due commissioni mediche, una francese, indipendente, ed una russa, che lavora per conto dell’Autorità Palestinese, che non hanno ancora completato le loro indagini e che, quindi, l’unico dato certo reso pubblico è quello della commissione svizzera, che lavora per conto della moglie, che ha rilevato una concentrazione dei livelli di polonio diciotto volte superiori al normale, queste analisi hanno incontrato le difficoltà previste dal livello di decadimento della radioattività, stimata nel cinquanta per cento circa ogni quattro mesi. Questi limiti analitici, considerando il tempo trascorso dalla morte di Arafat alle analisi effettuate, inducono a pensare che la morte del leader palestinese non sia stata dovuta a cause naturali. In attesa, quindi, degli altri risultati, i cui dati potrebbero rinforzare l’ipotesi dell’attentato, dando l’avvio a possibili pesanti conseguenze, oppure contraddirli, contribuendo a smorzare i dubbi sulla morte di Arafat, la situazione si sposta dai tavoli degli scienziati a quelli dove vengono costruite tutte le ipotesi politiche. Israele, che non può che essere il primo indiziato, ha sempre smentito un suo eventuale coinvolgimento nella morte non naturale di Arafat. Questa precisazione è d’obbligo in un momento particolarmente teso per la situazione del Medio Oriente e per i negoziati tra israeliani e palestinesi, che stentano a decollare. Il sentimento più diffuso tra i palestinesi è quello che Tel Aviv sia dietro i responsabili e questo già basterebbe a fare ripartire atti con conseguenze pericolose, sia sul piano dell’ordine pubblico, che su quello diplomatico tra le due parti. Il fatto che l’analisi dell’avvelenamento del polonio provenga da autorità mediche di un paese neutrale come la Svizzera, fornisce ai risultati autoptici una valenza molto più importante, che se questi provenissero da un paese tradizionalmente vicino ai palestinesi. D’altro canto ciò non vuole dire che gli autori della morte di Arafat debbano essere per forza individuati negli israeliani, ma soltanto che il leader palestinese è stato ucciso. Questo, però potrà costituire un punto di partenza, sia per una indagine, oggettivamente molto difficile, per stabilire i responsabili della morte, sia per diventare un pretesto per speculazioni di tipo politico. La seconda eventualità rappresenta il pericolo maggiore: indirizzare l’odio palestinese, anche degli ambienti lontani da Arafat quando era in vita, anzi proprio di questi, contro gli Israeliani, appare cosa molto facile. Il fatto che i risultati delle analisi arrivino in un momento di stati dei negoziati tra israeliani e palestinesi, è sicuramente una casualità sfortunata, ma le sue conseguenze debbono essere da subito valutate dai due schieramenti. Un inasprimento proveniente da una o da tutte e due le parti, con attentati o con la continua insistenza a costruire nei territori, potrebbe diventare un pericoloso detonatore di tensione, se gravato dal sospetto dell’attentato mortale al capo storico dei palestinesi. Mai come ora, soprattutto, dagli israeliani, anche se innocenti riguardo alla vicenda del polonio, occorrerebbe un atteggiamento pragmatico, capace di portare l’attenzione sui progressi dei negoziati, grazie al cambiamento dell’atteggiamento fino ad ora tenuto sull’incremento delle colonie nei territori. Solo così si potrà evitare una escalation di violenza che sembra dietro l’angolo.

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