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venerdì 8 novembre 2013

Israele rischia di rovinare l'entusiasmo per la possibile firma dell'accordo sul nucleare iraniano

John Kerry sembra vicino all’accordo con l’Iran, sulla base del permesso, da parte di Teheran per gli ispettori dell’AIEA, di potere effettuare controlli a sorpresa per il programma nucleare iraniano. Se arriverà la conferma di ciò si dovrebbe assistere ad un periodo di distensione, un successo paragonabile ad altri successi diplomatici americani, che però risalivano a parecchio tempo addietro. Kerry è vicino all’accordo, la sensazione è condivisa da quello che traspare dagli ambienti diplomatici del gruppo che siede al tavolo delle trattative di Ginevra e dovrebbe portare alla attenuazione delle sanzioni internazionali, che tanto hanno danneggiato l’economia iraniana. Ma nonostante l'entusiasmo per l'accoglimento della notizia vi è una voce fuori dal coro, ed è quella israeliana. Attraverso il premier Netanyahu, Tel Aviv ha espresso tutti i suoi dubbi e la propria convinta contrarietà a quello che è stato definito un grossolano errore dell’occidente, che potrà permettere lo sviluppo militare della tecnologia atomica iraniana. Se la linea di queste dichiarazioni non differisce da quanto affermato in precedenza, neppure la novità su cui sembrerebbe incentrarsi l’accordo pare essere sufficiente a smuovere dalle granitiche certezze il governo israeliano. Questo atteggiamento non favorisce le trattative, ma non può bloccarle, poiché la strada intrapresa è già segnata e poco valgono le minacce del capo del governo di Israele. Si tratta, peraltro, di minacce gravi, che non escludono l’opzione militare, anche se senza l’appoggio statunitense questa minaccia pare destinata a cadere nel vuoto. Resta però la forte contrarietà, che pare rappresentare una occasione perduta per un possibile avvio di rapporti meno tesi tra Teheran e Tel Aviv. L’isolamento di Israele, che pare ingiustificato dato che gli USA, che sono sempre al suo fianco, dovrebbero essere proprio i maggiori garanti dell’accordo, può, però, essere inquadrato, oltre che nella dimensione internazionale, anche in quella, pur sempre sovranazionale, ma più ristretta, limitata alla possibilità di una ripresa del dialogo con i palestinesi. Una strategia di Netanyahu può essere quella di usare il suo risentimento contro gli americani, per mettere degli ostacoli alla ripresa delle trattative, che dovrebbero portare alla costruzione dei due stati. Sebbene la posizione di Netanyahu, rispetto all’Iran non sia variata, l’uso di ogni mezzo per mettere dei freni alla trattative con i palestinesi rappresentano una costante del capo del governo israeliano. Per Kerry non ci sarà il tempo di godere appieno dell’accordo con l’Iran, che a questo punto viene dato come molto probabile, la sua missione successiva sarà proprio quella di incontrare Netanyahu, per parlare, in teoria, della ripresa delle trattative con i Palestinesi; ma è difficile credere che il capo del governo di Tel Aviv voglia affrontare la questione senza fare le proprie rimostranze per la firma sull’accordo con l’Iran. La maggiore possibilità è che nessun passo in avanti venga compiuto, permettendo così nuovi avanzamenti delle costruzioni nelle colonie. Ciò avviene nel momento in cui l’Autorità Palestinese accusa Israele della morte di Arafat: vero o falso che sia, le due cose messe insieme rischiano di fare passare in secondo piano la firma sul nucleare iraniano, per l e possibili conseguenze di ciò che si potrà scatenare. Se per gli USA sarà praticamente concluso un annoso problema, subito dovranno occuparsi di questioni molto pressanti.

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