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martedì 26 novembre 2013
Obama isolato dopo l'accordo con l'Iran
L’accordo raggiunto con l’Iran presenta un aspetto che va oltre quello che appare come un successo diplomatico americano. Se a Teheran i negoziatori hanno avuto una accoglienza trionfale, per Obama le cose sembrano andare nel verso opposto. Il Presidente americano appare isolato in una vicenda che doveva costituire un trionfo per la politica estera statunitense. Le critiche all’accordo provengono, sia dall’interno del paese americano, che dagli alleati più stretti nella regione mediorientale. A prima vista la responsabilità più grossa di Obama è quella di non avere saputo fare comprendere l’importanza della distensione con l’Iran, all’interno del progetto di politica estera elaborato dalla Casa Bianca. Il mancato coinvolgimento di Israele e di Arabia Saudita in quella che poteva essere una opportunità di distensione mondiale mai raggiunta, ha avuto riflessi inevitabili anche all’interno degli USA, dove si registrano pareri fortemente contrari, non solo nell’ambito repubblicano, ma anche in quello democratico, rischiando così, di fare saltare il piano per ridurre le sanzioni a carico di Teheran e quindi tutta la trattativa. L’appoggio dell’Europa, dove si registra la defezione francese, non basta a compensare il rischio concreto che gli equilibri e le alleanze nel medio oriente siano completamente riviste. Il fatto, che in questo momento, gli USA appaiono più lontani dall’Arabia Saudita che dall’Iran appare semplicemente inquietante per una stabilità che va ben oltre quella regionale. Nella foga di raggiungere l’accordo con Teheran, Washington ha commesso un errore, quasi dilettantesco, di non assecondare la crescente rabbia saudita, che, con il rifiuto al seggio del Consiglio di sicurezza, aveva fatto capire bene il livello di esasperazione raggiunto. Probabilmente prima ancora di iniziare la trattativa con gli iraniani, si doveva convincere i sauditi della necessità dell’accordo, senza dare per scontato un legame che si stava progressivamente allentando già a causa del mancato intervento in Siria. Obama, nel tentativo di portare avanti la sua politica diplomatica, per completare il progetto di una distensione il più possibile estesa, non ha saputo calcolare le variabili che l’accordo con l’Iran avrebbe innescato, pur in presenza di segnali inequivocabili. Allentare il rapporto con l’Arabia Saudita, anche se non è in discussione l’alleanza, significa soprattutto, un mancato controllo delle possibili reazioni saudite contro lo storico nemico iraniano, la prima delle quali è la possibilità che l’Arabia si doti di una arma atomica, andando a creare un equilibrio del terrore, gravato dalla profonda e reciproca avversione religiosa con Teheran. Se questo dovesse avvenire, come paventato dagli stessi sauditi, sarebbe il segnale che gli Stati Uniti non verrebbero più ritenuti un alleato completamente affidabile, specificatamente nel caso di una minaccia proveniente dall’Iran, maggiore potenza scita.
Mai come in questo caso non si può non rilevare come la fretta di raggiungere l’accordo è stata troppo precipitosa e la conseguenza sarà un grande sforzo per recuperare il terreno perduto, senza la sicurezza di tornare al livello precedente.
Sulla stessa linea si è deteriorato il rapporto con Tel Aviv, che può procurare danni ancora maggiori in patria, per la presenza di gruppi di pressione ebraici. Queste tensioni si riverberano su di una opinione pubblica non troppo convinta di quanto firmato e quindi molto critica con il presidente Obama. Le ragioni dell’amministrazione americana di raggiungere l’accordo sono insite nella volontà di scongiurare un attacco militare all’Iran, come più volte richiesto da Tel Aviv. Pur trattandosi di una posizione molto ragionevole, dettata dalla chiara impossibilità di prevedere l’esito e le ricadute di un eventuale conflitto, la società politica USA non ha compreso a fondo queste ragioni, perché non si fida degli iraniani, neppure del nuovo corso, e ritiene chwe le concessioni di Teheran possano permettere lo stesso un arricchimento del plutonio, tale da arrivare ad armamenti atomici. In realtà nei piani di Obama c’è la volontà di non assistere passivamente ai riequilibri regionali, condizionati dagli stravolgimenti politici in corso. Se prima gli USA potevano contare sull’appoggio sicuro dell’Egitto e della stessa Arabia Saudita, le previsioni di possibili cambiamenti riguardanti anche la monarchia saudita, hanno imposto alla Casa Bianca di ripensare il rapporto con Teheran. Se nell’immediato questa linea di condotta può suscitare dubbi, è innegabile che la necessità di prevenire le novità degli assetti politici regionali, obblighi a scelte talvolta impopolari ed incomprensibili. Tuttavia senza un appoggio interno sufficiente a sostenere questa visione, Obama rischia di fallire su tutta la linea ed in quel caso gli assetti che potrebbero nascere da questa disfatta sarebbero totalmente imprevedibili ed in grado di minare la pace della regione e l’economia del mondo.
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