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venerdì 20 dicembre 2013
In Siria cresce il potere dei radicali sunniti
Esiste in Siria una pericolosa evoluzione, che ha portato il paese ad essere sottoposto ad un duplice giogo di terrore, ugualmente feroce. Se la ribellione era iniziata contro il governo di Damasco, che aveva intrapreso una ferrea azione di repressione, culminata con l’uso di agenti chimici, le formazioni composte dai miliziani islamici sono passate dai sequestri di stranieri, con la finalità di estorsione, a quelli di siriani, colpevoli di essere della parte religiosa avversa o soltanto di contravvenire alle regole della sharia. Il terreno guadagnato in battaglia, ha permesso a queste formazioni di estendere il loro dominio sul territorio impiantando tribunali islamici e prigioni dove vengono rinchiusi e torturati, coloro che meritano questo trattamento a loro insindacabile giudizio. Il popolo civile, che si trova in mezzo alla guerra ed è capitato nelle zone amministrate dagli estremisti vive così nel terrore, usato come metodo di coercizione ed imposizione del dominio. Gli attacchi avvengono anche contro le moschee e tra le vittime si contano anche bambini. Questa degenerazione avvenuta nella parte di opposizione che sta emergendo, è dovuta al calcolo politico di quelle potenze straniere che hanno favorito i miliziani sunniti, in modo da rovesciare Assad ed infliggere un colpo decisivo all’Iran ed anche dell’atteggiamento americano di non appoggiare in modo sufficiente la parte democratica contraria a Damasco. Il ragionamento USA era supportato da elementi convincenti: il timore di favorire proprio le milizie estremiste e ritrovarsi così una Siria passata da un regime politico ad uno religioso. Tuttavia la passività di Washington e dell’occidente in generale, ha favorito proprio quello che non voleva che avvenisse. Assad in questo momento probabilmente rappresenta un nemico meno peggio di chi vuole impiantare un califfato in Siria ed unirlo alla parte sunnita dell’Iraq per farne una nazione nevralgica per il movimento terrorista islamico. La sensazione è che la situazione sia anche sfuggita di mano all’Arabia Saudita, che ha sacrificato ogni convenienza politica al disegno di ridurre l’influenza iraniana nella regione. Quello che si è determinato è uno scenario che rischia di diventare apocalittico per la sicurezza mondiale, frutto di una serie di valutazioni sbagliate ed atteggiamenti pavidi, che hanno saputo produrre un concentrato di fanatismo e fondamentalismo destinato, se non sarà contrastato in modo efficace, a governare un paese. Neppure agli stati del Golfo può convenire una soluzione del genere, giacché non avrebbero alcun controllo su una tale accozzaglia di terroristi, oltretutto situata sulle linee dei loro confini. L’ONU parla apertamente di crimini contro l’umanità, ma la sua azione resta bloccata dal veto di Cina e Russia nel Consiglio di Sicurezza e le organizzazioni umanitarie come Amnesty International possono soltanto testimoniare le barbarie commesse dagli islamisti sunniti, sempre più vicini ad Al Qaeda. L’unica organizzazione di ribelli riconosciuta dall’occidente, la Coalizione Nazionale Siriana, temendo di essere coinvolta nei soprusi dei radicali religiosi, smentisce che vi siano crimini di guerra compiuti dall’opposizione, escludendo dall’opposizione stessa, le milizie islamiche e riconoscendo implicitamente l’esistenza degli atti efferati, che non può contrastare. Frattanto la guerra siriana sembra avere svanito l’effetto mediatico, che aveva precedentemente e con esso l’interesse delle nazioni occidentali, che non comprendono come si stia profilando una soluzione tutt’altro che gradita e che, soprattutto, rischia di vederle obbligate ad un coinvolgimento ancora maggiore in un futuro sempre più prossimo. Non occorre ricordare la posizione del paese siriano sulla carta geografica, per ribadire che la sua linea di confine è condivisa con Israele e Turchia e come le sue rive si affaccino sul Mediterraneo; non si tratta di semplici dati geografici ma di posizioni che possono dare un vantaggio tattico per chi vuole propagare il conflitto ed il caos verso i paesi occidentali. Occorre una nuova presa di coscienza, che vada di pari passo con le trattative , ma che sappia imporre decisioni anche di natura militare per scongiurare il dominio del pese siriano, una nazione chiave nello scenario politico del medio oriente, che deve essere governata in funzione dell’equilibrio regionale, con la pace come obiettivo prioritario.
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