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martedì 7 gennaio 2014

Gli USA appoggiano il governo iracheno

La preoccupazione del governo degli Stati Uniti, per la situazione irakena, appare molto elevata; le azioni dei gruppi estremisti sunniti hanno alzato l’attenzione della Casa Bianca, che teme un innalzamento del pericolo dell’estensione del fondamentalismo islamico in una regione particolarmente delicata per gli equilibri religiosi, con tutte le loro conseguenze, come la nazione dell’Iraq, dove la rivalità tra sciti e sunniti rischia di portare il paese al collasso. Gli USA hanno confermato all’esecutivo di Bagdad tutto il loro sostegno contro le milizie sunnite, che di fatto, stanno operando nella provincia di Al Anbar e nelle città di Ramadi e Falluja, con Al Qaeda, con il chiaro intento di staccare questa parte del paese dalla sovranità statale, per impiantare un califfato islamico. La politica statunitense, tuttavia, non contempla più, con la dottrina Obama, un coinvolgimento diretto delle proprie forze armate sul suolo irakeno, che è stato anche puntualmente smentito da Washington, malgrado gli auspici di parte del governo dell’Iraq, ma prevede aiuti e forniture di materiale militare, anche ad altro grado tecnologico e di specializzazione bellica, che possa sovvertire l’andamento della disputa con i fondamentalisti islamici. La consegna di droni e di missili fa parte della strategia globale, che mira al contenimento prima, all’isolamento poi ed alla definitiva sconfitta dei gruppi fondamentalisti. La scala di intervento, che non può ricercare fin da subito la vittoria completa, si rende necessaria per l’appoggio di cui godono le milizie sunnite tra la cittadinanza delle zone occupate; questo favore è dovuto in larga parte alla predominanza scita del governo di Bagdad, che sarebbe la causa delle presunte discriminazioni etniche imputate al governo centrale. Questa causa rischia di fare passare in secondo piano, tra la popolazione, il significato politico e le conseguenze dell’occupazione degli estremisti sunniti, che, come primo effetto, comporterebbe l’instaurazione della legge islamica, come legge fondamentale. La situazione che si presenta sulla scena internazionale è comunque singolare, perché affianca, di fatto, anche se probabilmente non in maniera concreta, gli Stati Uniti all’Iran, che appoggia anch’esso il governo di Bagdad, affiancandosi alla parte scita del paese. Peraltro Washington, in questa fase, attraverso l’appoggio palese al governo irakeno si pone su di un fronte contrapposto a quello dei paesi del Golfo, che pur temendo una avanzata che possa spingersi troppo avanti dei sunniti, ne sostiene in qualche modo l’azione proprio per contrastare Teheran. Si tratta di uno sviluppo imprevisto e certamente inatteso dell’evoluzione della politica internazionale della regione, che dimostra come l’instabilità e l’imprevedibilità degli eventi sia, attualmente, l’elemento che più contraddistingue questa fase storica. Questa profonda incertezza rende difficile ogni previsione, sia a breve che a lungo termine sulla conclusione di questo, che si annuncia come un nuovo fronte che contiene una pericolosità che va ben aldilà dei confini territoriali in cui si svolge. Inoltre il nuovo coinvolgimento americano, anche se solo a livello di forniture militari, che includono però i droni, potrebbe coinvolgere gli USA in nuove dispute e rappresaglie da parte dei terroristi islamici, che mirano a consolidare la loro posizione nella zona, per influire sulla guerra siriana e per creare una base di Al Qaeda ben radicata sul territorio. Questi elementi debbono portare ad una riflessione sugli aspetti negativi della politica estera americana portata avanti da Bush, ma risolta in maniera negativa, perché incompleta, da Obama: gli errori di valutazione vi sono stati da entrambe le parti ed ora rischiano di favorire una nuova ascesa del terrorismo islamico, anche a causa della errata previsione della evoluzione internazionale, che sta presentando sempre novità causate dalla mancanza di una visione di insieme capace di prevenire scenari inediti.

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